sabato 22 dicembre 2012

'Un pagamu su vimeo

Da qui potete scaricare : 'Un pagamu-la tassa sulla paura

Il reportage 'Un pagamu.La tassa sulla paura è stato prodotto con il contributo di varie associazioni di Pavia e provincia; in particolare, i nostri ringraziamenti vanno all'ARCI ed all'AINS onlus.
Nel realizzare il documentario, il nostro intento è stato quello di creare un utile strumento alla lotta al racket delle estorsioni (il pizzo), che potesse contribuire a far conoscere le dinamiche criminali, ma anche (e soprattuto) le dinamiche di ribellione a questa tassa occulta, imposta ai commercianti di tante parti d'Italia. Proprio per questi motivi abbiamo scelto di girare un reportage indirizzato alle scuole ed ai ragazzi che le frequentano, convinti che si debba partire proprio dalla cultura e dall' educazione per poter ricreare un tessuto sociale.

giovedì 1 novembre 2012

Le elezioni in Sicilia.

di Claudio Metallo


La Sicilia è una terra meravigliosa, martoriata dalla mafia e dalla cattiva gestione della cosa pubblica, ma è anche la terra che ha dato i natali a personaggi straordinari della cultura italiana, ad esempio Luigi Pirandello e Leonardo Sciascia. Quest'ultimo si sarebbe probabilmente dilettato a raccontarci le evoluzioni incredibili (nel senso di poco credibili) a cui abbiamo assistito durante la campagna elettorale per le elezioni siciliane. Considerate un test nazionale fondamentale, i media hanno dato molto spazio all'appuntamento.

MOVIMENTO 5 STELLE.
Sui giornali, nei telegiornali e talk show televisivi si celebra la vittoria del Movimento 5 Stelle, lasciando totalmente in secondo piano il dato più eclatante della tornata di votazioni sicule: l'astensionismo. Il 53% degli aventi diritto non è andato alle urne. Considerando che nelle varie liste presentate si contavano qualche migliaio di candidati, possiamo dire con una certa sicurezza che, a parte qualche mosca bianca, sono andati a votare solo i parenti degli aspiranti deputati regionali. Questo dato è inconfutabile e quindi non riesco a capire come tutti i commentatori possano dire che ci sia stato un exploit del movimento di Grillo.
Alcuni sondaggi lo davano al 25%. I grillini dovevano vincere queste elezioni, erano partiti per questo, ci contavano. Hanno portata avanti una campagna elettorale da anni '50, con i comizi per strada e nelle piazze, senza WI-FI o altre modalità di connessione, con buona pace dei grandi esperti di comunicazione. L'inizio della campagna elettorale è stato ridicolo, ma efficace. Efficace nel senso che tutti i giornali per vendere qualche copia in più hanno dato ampio spazio alla nuotata di Grillo nello Stretto di Messina, con conseguenti commenti pro e contro. Nonostante i divieti di Grillo ad apparire in tv, il suo movimento vive e prospera grazie all'enorme copertura mediatica che viene data ad ogni sua iniziativa. Valeva per Berlusconi, vale per Grillo. Comunque, la traversata a nuoto ricordava tristemente la battaglia del grano o altre buffonate che Mussolini organizzava per dare in pasto a milioni di creduloni un po' di spettacolo.
Detto questo, i conti son presto fatti: il M5S ha preso sì il 15%, ma su una percentuale di votanti bassissima, forse su un milione e mezzo, comunque meno della metà del corpo elettorale.

PD.
In Sicilia le elezioni le ha vinte il PD alleato con l'UDC, con un candidato dichiaratamente omosessuale. Ecco un'altra notizia degna di analisi: nel Sud Italia, dipinto sempre come un inguaribile crogiulo di conservatori, ci sono due governatori di Regione omosessuali, Rosario Crocetta e Nichi Vendola. Nello sviluppato Nord, oltre al dimesso Formigoni espressione di una cultura cattolica scellerata, razzista, arraffona e xenofoba, il Veneto ed il Piemonte sono governati da due leghisti anch'essi razzisti, sessisti, xenofobi, omofobi dichiarati. I media hanno solo vagamente accennato al fatto che Rosario Crocetta fosse omosessuale: se la stessa cosa fosse successa in Germania o in Inghilterra, molte persone che si professano di sinistra avrebbero subito cominciato a lodare il progresso culturale di quei paesi. Mi sarebbe piaciuto sentirne parlare, non certo da Grillo che ha più volte insultato proprio Vendola per essere gay. D'altronde si sa che noi italiani siamo degli inguaribili esterofili, così come quando vediamo gli scontri in Grecia e subito arriva qualcuno a rimproverare che in Italia non si muove niente e che non c'è conflitto. Poi, alle prime vetrine scassate nei cortei nostrani, si grida ai Black Bloc, si condanna la violenza e bla bla bla bla.
Crocetta è stato appoggiato da tre liste, tra cui la sua lista diretta che ha inevitabilmente tolto voti al PD, aiutando il M5S a diventare il primo partito. Le suddette tre liste non hanno consentito al nuovo presidente della Regione di avere la maggioranza assoluta e quindi il neogovernatore dovrà trovare voti ed alleanze in aula di volta in volta, sui singoli provvedimenti. Questo renderà tortuoso e complicato il suo cammino riformatore (o rivoluzionario, come lo ha definito lui stesso) che si dovrà mettere in moto. Staremo a vedere se su questioni come la riduzione dei deputati regionali o in generale sui costi della macchina amministrativa siciliana, il M5S rimarrà sulle barricate o si sporcherà le mani per votare a favore. O anche su provvedimenti migliorabili, ma che intanto possono aprire la strada ad una stagione nuova, di cui la Sicilia ha davvero bisogno.
In molti pensano che non ci sarà nessun nuovo corso. Mancando i voti necessari per governare serenamente, Crocetta farà un accordo con Micciché e Lombardo, che hanno eletto un buon numero di deputati. Se sarà così, in Sicilia, cambierà solo il nome del presidente regionale, ma la coalizione che appoggiava Raffaele Lombardo rimane la stessa. Questa prospettiva non è incoraggiante per i siciliani e potrebbe essere uno dei motivi dell'astensione così alta. Si cambia tutto per non cambiare niente; non è un caso che Il Gattopardo sia ambientato in Sicilia.
Comunque la vittoria di Crocetta ha dato il via ad una serie di speculazioni politiche da cialtroni, ad esempio il continuo martellare di Casini&company rispetto al fatto che i progressisti ed i moderati devono allearsi, perché insieme vincono. E lasciano a casa il 53% degli elettori. Bella vittoria, bravi.

GLI SCONFITTI.
Il PDL ed il centro destra hanno subito una pesante sconfitta e molta gente che è rimasta a casa probabilmente viene da quello schieramento politico. Nonostante tutto, sono comunque riusciti a garantirsi la presenza nell'ARS.
Non così SEL, i cui dirigenti dovrebbero farsi un esame di coscienza e poi sparire nell'oblio, a partire da Claudio Fava, persona rispettabilissima, ma che non è riuscita a catalizzare neanche un voto degli astenuti. La sua campagna elettorale non è mai partita: non ha potuto candidarsi perché ha preso in ritardo la residenza. E' chiaro che la colpa è del suo staff, ma dopo una stupidaggine del genere proprio il suo staff doveva dimettersi in massa. Eroicamente Giovanna Marano ha deciso di candidarsi al posto dell'apolide Fava, ma è apparso chiaro fin da subito che avrebbe dovuto condurre la campagna elettorale da sola. L'impressione è stata questa: saltata la candidatura di Claudio Fava è saltato il banco. Da fuori è sembrata quasi una presa in giro, che ha deluso molta gente. Dati i risultati, meglio che Fava e molti dirigenti di SEL e Rifondazione si ritirino a vita privata, magari illuminandoci sui grandi problemi del mondo con un articolo di giornale o un libro ed evitando invece queste pessime figure, che contribuiscono a distruggere quel poco di sinistra che si cerca di rimetter su in questo paese.

VITTORIA SULLE MACERIE.
Il titolo di apertura de L'Unità il giorno dopo le elezioni forse ci riporta un quadro veritiero:"Vince Crocetta sulle macerie." Le macerie di una regione che è allo sbando dal punto di vista economico, ma anche politico. Riuscirà l'ex sindaco antimafia di Gela a ridare dignità all'istituzione? Ci sono tanti campi in cui fare peggio delle precedenti amministrazioni è quasi impossibile. Ci sono vecchi e nuovi problemi a cui mettere mano. La mafia non si sconfigge solo dallo scranno di Presidente regionale, ma in quel ruolo si possono fare molte cose, non ultima dire chiaro e forte che il sistema radar statunitensi, il cosiddetto MUOS, non può trovare spazio sul terreno siciliano. Non è una boutade o un'esagerazione. Un altro grande siciliano si è speso contro la guerra e perché la Sicilia tornasse ad essere una regione a piena sovranità: si chiamava Pio La Torre e ritornò da Roma nella sua terra, anche per condurre una battaglia contro gli insediamenti militari statunitensi. La Torre era un dirigente di punta del Partito Comunista Italiano; Crocetta è uno degli eredi di quella tradizione politica. Speriamo possa trarre ispirazione da uomini come La Torre e non da quelli come Micciché e Lombardo.

sabato 22 settembre 2012

Il Casalese, vita e miracoli di Nicola Cosentino e famiglia. Intervista ad Arnaldo Capezzuto.

di Claudio Metallo

Su Nicola Cosentino si è scritto e si è detto molto, spesso senza approfondire nel merito la sua posizione, quella della sua famiglia ed il contesto sociale e politico, da cui è partita la carriera che lo ha portato fino al sottosegretariato al ministero dell'Economia.
In questo periodo di larghe intese tra i partiti in sostegno del governo di Mario Monti, il suo nome sembra svanito dalle cronaca dei giornali.
Per conoscere nel dettaglio l'ascesa di Cosentino e delle persone a lui più vicine, un gruppo di coraggiosi giornalisti ha realizzato uno straordinario libro d'inchiesta: Il Casalese-ascesa e tramonto di un leader politico di Terra di Lavoro. Il libro è edito da Edizioni CentoAutori e contiene le inchieste di Massimiliano Amato, Luisa Maradei, Arnaldo Capezzuto, Corrado Castiglione, Peppe Papa, Antonio Di Costanzo, Vincenzo Senatore e Giuseppe Crimaldi, Ciro Pellegrino.
Appena uscito nelle librerie, Il Casalese ha rischiato di essere ritirato dal mercato, perché il fratello di Nicola Cosentino, Giovanni, ha chiesto un maxi risarcimento di un milione e duecentomila euro agli autori e, soprattutto, la distruzione di tutte le copie. Per fortuna, questa folle richiesta è stata rigettata dal Tribunale di Napoli.
Uno degli autori del libro-inchiesta, il giornalista Arnaldo Capezzuto, ce ne racconta la genesi e ci fornisce un quadro puntuale e realistico sulla vicenda politica di Cosentino, ma anche sulle terre in cui è nato l'ex sottosegretario all'Economia del governo Berlusconi. Il suo giudizio è impietoso: Cosentino è il prodotto di un sistema di malapolitica, camorra, imprenditoria corrotta e della connivenza e del silenzio di alcune delle  persone che vivono quei territori. E Capezzuto giunge a consigliare alle persone oneste di Terra di lavoro di andarsene, di lasciare quei luoghi che oltre ad un devastante inquinamento ambientale, subiscono anche quello morale.





Domanda: Com'è nata l'idea di questo libro che sembra scaturito da un'esigenza precisa?

Risposta: Sembra assurdo ma il libro Il Casalese sembra davvero essere nato da solo. A Napoli e in generale in Italia è difficile scrivere e narrare
fatti che toccano personaggi di sistema. Non sto parlando di censura oppure di bavagli. Mi spiego meglio.
Di notizie su Nicola Cosentino ne sono uscite a chili. Il punto non è questo. La lacuna è la mancanza di un'opportunità del racconto organico, di mettere insieme i tasselli e svelare la rete dei rapporti, le convergenze, i nodi, gli incastri che strutturano il vero potere. Ecco: questo libro riesce a fare tutto questo. Ricostruisce venti anni di affari al confine con la politica, l'imprenditoria, la camorra. Snoccioliamo oltre mille e seicento nomi di politici, portaborse, camorristi, colletti bianchi, società, aziende. Un blocco di potere che rappresenta il 12% del consenso nazionale del Pdl in Italia. Una volta trovato il filo rosso da seguire è stato quasi naturale assemblare i paragrafi, i capitoli e dare una precisa identità al Casalese. Questo testo fa da apripista ad un nuovo modo di raccontare: credimi è difficile mettere tante persone insieme e farle lavorare sullo stesso progetto. Visti i risultati sembra che ci siamo riusciti.

D: Il capitolo che hai scritto è dedicato alle persone vicine a Cosentino, come mai? E' possibile che per fare politica ci si debba servire di un" reticolo sotterraneo di rapporti", come lo chiami tu?

R: Il punto è questo. Nicola Cosentino senza il “Cosentinismo” restava un
anonimo consigliere comunale di Casal di Principe. Lo straordinario sistema che ha inventato Nick 'o Mericano somiglia, con i dovuti distinguo, a ciò che sul finire degli anni Ottanta ha costruito Giulio Andreotti in Sicilia. Politica, affari e camorre non sono universi disgiunti ma uniti che si auto-alimentano. Questa struttura viene cementificata con la calce delle clientele. Costruire sui territori occasioni senza futuro, scatole vuote, carrozzoni, casotti per “affiliare” disperati (affamati dal meccanismo), dargli una busta paga mensile e regalargli un'illusione di finta “normalità”. Un esempio sono i consorzi dei rifiuti del casertano costruiti solo per motivi clientelari e di gestione del potere. Sorprende non poco che il cardinale di Napoli Crescenzio Sepe che tanto “comizia” contro la camorra non ha esitato a chiedere un aiutino a Cosentino per piazzare due suoi nipoti disoccupati nell'Eco 4 dei fratelli Sergio e Michele Orsi, collegata alla cosca dei Casalesi. Un altro esempio può essere l'insediamento a Casal di Principe di una mega struttura commerciale “Il Principe”, dove i Casalesi attraverso il loro referente politico nazionale Cosentino avevano chiesto un finanziamento-schermo bancario per riciclare soldi e tirare su l'ennesimo scandalo per uso e consumo della cosca e del sistema politico collegato ad esso. Clientele, collocazione di fornitori, riciclaggio e gestione. Fortunatamente la cosa è saltata grazie all'inchiesta “Il Principe e la scheda ballerina”. Per edificare questi sistemi hai bisogno di un “reticolo sotterraneo di rapporti” che predispone le carte, piega le istituzioni ai voleri del boss e non parlo del capo clan ma del politiconzolo di turno e cioè nel caso specifico del disonorevole Nicola Cosentino, l'apicale rappresentante, e dei suoi fedelissimi. Un nome su tutti è Luigi Cesaro. E' presidente della provincia di Napoli e contemporaneamente deputato, è stato eurodeputato, assessore, consigliere. E' anche dirigente prima di Forza Italia e adesso del
Pdl. Un uomo rozzo che non parla l'italiano nonostante abbia conseguito una laurea in giurisprudenza alla Federico II di Napoli.
Sarebbe interessante vedere la documentazione universitaria: chi erano
i suoi professori? Ricostruire il percorso di studi. Cesaro è un analfabeta totale, non sa neppure leggere un gobbo durante un'intervista. E' allucinante! Nel 1985 viene arrestato e condannato a 5 anni di reclusione per aver portato avanti rapporti con la sorella di Raffaele Cutolo, capo della Nco. Poi ottiene una “strana” assoluzione; giudice è Corrado Carnevale, l'ammazzasentenze. Sant'Antimo, paesone dell'hinterland napoletano è la sua roccaforte: la sua famiglia ha svariate attività economiche e finanziarie.
Attività che generosamente vengono pubblicizzate a pagamento dai quotidiani napoletani, tanto da farli zittire di fronte ad uno scandalo umano e politico come è quello di Cesaro. Insomma, siamo di fronte ad un un sistema trasversale perché il “Cosentinismo” per diventare piattaforma e propulsore di affari si è sposato con il “Bassolinismo”.
Non voglio dire che Antonio Bassolino è la stessa cosa di Nicola Cosentino, giammai. Però il “Cosentinismo” in quegli anni ha avuto lo spazio per espandersi. Il centro sinistra non ha fatto nulla per contrastare quel nascente modello di potere cinico, spietato e criminale. Un grave peccato di sistematica e colpevole omissione, che oggettivamente ridimensiona il valore storico dell'esperienza di governo del centro sinistra a Napoli, in Campania, in Italia. Un fallimento.

D: Tu pensi che Cosentino sia parte di un ingranaggio più grande?
Penso al fatto che addirittura i matrimoni nella sua famiglia sembrano far parte di una strategia per stringere accordi e ramificare le proprie conoscenza.

R: Nicola Cosentino ha strutturato attorno a sé una giocosa macchina da
guerra. Se segui la sua biografia personale e familiare ti accorgi che tutto si tiene. Alla fine il “Cosentinismo” è una costola del “Berlusconismo”. I due sistemi si somigliano e s'integrano. Potere, aziende di famiglia, affari, intrallazzi, accordi di desistenza, interessi privati, corte dei miracoli, conflitti d'interesse, sistematico aggiramento delle regole, uso disinvolto delle istituzioni. E' la degenerazione di quel potere che ha degli effetti devastanti sui territori. Casal di Principe, San Cipriano d'Aversa, Casapesenna, Villa Literno, Castel Volturno, Mondragone sono territori devastati dove la speranza non esiste più, anzi bisogna finire di illudere chi ci abita. Li non potrà mai cambiare niente. Chi è onesto deve andare via da quei luoghi. La camorra, un po' come è per Napoli, è nelle viscere, nell'aria, nel Dna. Chi dice il contrario è ingenuo oppure mente spudoratamente.

D: Dopo l'uscita del libro cos'è successo? Si sono fatti sentire gli avvocati della famiglia Cosentino. Ci puoi spiegare la situazione?

R: Il libro è uscito a fine novembre mentre a inizio dicembre è scattato il blitz che ha portato in cella una cinquantina di persone. In carcere doveva finire anche Cosentino ma Silvio Berlusconi si è prodigato per rovesciare alla Camera il voto favorevole all'arresto della Giunta per le autorizzazioni a procedere. Se Cosentino fosse stato arrestato saltava addirittura il governo tecnico di Mario Monti. Per la seconda volta è stato graziato. Particolari che mostrano come è importante il “Cosentinismo” per il “Berlusconismo”. E' nato un corto circuito. Cosentino è convinto che dietro “Il Casalese”  ci siano dei magistrati che hanno ispirato il libro. Da questo assunto è partita la guerra contro il testo. A condurla, Giovanni Cosentino, titolare delle aziende di famiglia, la cassaforte del sistema, che ha richiesto un milione e duecentomila euro di risarcimento danni, il sequestro e la distruzione del libro e provvedimenti cautelari per alcuni autori. Il giudice ha respinto il procedimento nel giudizio immediato, adesso abbiamo cause con rito ordinario. Nell'occhio del ciclone, oltre alla casa editrice “Cento Autori” e lo stampatore, siamo finiti in tre: il sottoscritto, Massimiliano Amato e Peppe Papa. A questi procedimenti se ne sono aggiunti altri penali e civili. Certo, ritrovarsi il pool di avvocati della famiglia Cosentino alle calcagna ad ogni presentazione e conferenza stampa è stata un'esperienza interessante. Personalmente, mi ero anche affezionato!

D: Una delle cose che mi ha fatto più rabbia, leggendo il vostro libro
ed al di là della collusione di Cosentino con i Casalesi, è che le
terre da cui viene l'ex sottosegretario sono terre stupende, ricche e
che avrebbero potuto avere tutt'altro sviluppo se amministrate meglio.
Nel senso che oltre ad un problema etico, c'è anche un problema di
capacità di amministrazione della cosa pubblica. Vista la tua
esperienza, puoi darci una tua opinione su questa questione?

R: Sono d'accordo. La Campania Felix era il vanto dell'Impero Romano.
C'era un motivo se gli imperatori ritenevano la campagna casertana la migliore. Tutto distrutto, ammorbato con lo scarico illegale dei rifiuti, devastato dall'abusivismo edilizio, dai traffici.
Monta una rabbia esagerata.
Si è distrutta un'economia nell'indifferenza generale. Prima ho detto non ci sono più speranze perché è così. In quei luoghi ci siamo stati a presentare il libro e la gente ti guarda sotto'occhio. Ti percepisce come un nemico. Dove sono le persone oneste? Dove sono i giovani che desiderano spezzare i lacci e lacciuoli della mala politica e della camorra? Tutto tace. C'è una rassegnazione assurda. Non so come si potrebbe risalire la china.
Sicuramente mi sembra ipocrita andare lì, fare una bella manifestazione, fare un bel comizio, dire quattro stronzate e poi tornarsene da dove veniamo a fare le cose nostre. Ecco, la mia coscienza è inquieta. Dico che non ci sono le condizioni per far nulla di serio, le persone perbene devo lasciare quei territori.

D: L'altro aspetto inquietante del libro, è che dal vostro racconto
sembra che la storia d'Italia degli ultimi vent'anni sia passata
dalla Campania. Che opinione ti sei fatto su questo argomento?

R: Ne sono convinto. La Campania nel bene come nel male è stata sempre un laboratorio. Noi siamo la regione che ha prodotto Antonio Gava, Ciriaco De Mita, Francesco de Lorenzo, Giulio di Donato, Nicola Mancino...La storia proprio non insegna nulla. Ci sono tanti eroismi, tante persone straordinarie che hanno sacrificato la propria vita per aver detto un “no”.
Non capisco perché da queste terre emerga sempre e solo la mediocrità e il peggio del peggio. Non meritiamo questo.
Questo libro è una testimonianza chiara e netta che un certo tipo di potere può essere scardinato. Il ruolo dei giornalisti è solo quello di raccontare, narrare, spiegare. Però qualcosa ognuno di noi nel nostro piccolo lo può fare. Non dico cambiamo le cose ma almeno proviamoci ad essere attraversati da un sussulto di coscienza. Non è più tempo di guardare fuori, occorre essere di parte e di stare da una parte precisa. Lo dico da cronista. Nella nostra stessa categoria c'è una ipocrisia, una cultura del padrone, un servilismo, un mendicare che offende la memoria di giornalisti-giornalisti come Giancarlo Siani che ha sacrificato la  propria vita per il dovere della verità.

D: Tu sei un giornalista sempre dietro la notizia, sempre sul pezzo.
Ami questa professione. Pensando al fatto che qualcuno vuol fare
distruggere il vostro libro o al fatto che molti tuoi colleghi vengono
pagati quattro centesimi a riga, non pensi che il giornalismo stia
ridiventando una professione da ricchi e si rischia un'involuzione sia
in termini di qualità che di indipendenza?

R: E' un punto delicato. La libertà ha un prezzo. Attualmente nel mondo dell'informazione le professionalità, la foga, la passione viene annullata dalla cultura del ricatto, dalla pratica dello scendiletto. Occorre ribellarsi. Ci sono le nuove tecnologie.
Bisogna diventare indipendenti.  Oltre a sollecitare il giusto compenso per il nostro lavoro e quindi costruire un possibile percorso legislativo che dia strumenti concreti a chi li scrive i giornali, rovesciamolo il tavolo.
Rifiutiamo i tre euro a pezzo. Con grandi sacrifici e amore per il mestieraccio facciamo altro per vivere e contemporaneamente rendiamoci giornalisticamente autonomi. Proprio questo sto facendo attualmente con www.ladomenicasettimanale.it  e gli amici di “Fare Rete” che vedono la testata de “I Siciliani giovani” di Pippo Fava capofila di questo progetto. In questo spirito di autonomia e per rafforzare la denuncia del libro “Il Casalese”, la casa editrice Cento Autori ha prodotto un documentario che uscirà a fine settembre e sarà venduto in accoppiata al libro dove illustriamo con un racconto incalzante gli anni del potere “Cosentiniano”. Immagini eloquenti che è giusto conoscere dato che tra qualche mese andremo a votare e con ogni probabilità questi volti di deputati e senatori rinviati a giudizio e sotto processo per reati gravissimi, ce li ritroveremo nuovamente candidati. Inacettabile.

venerdì 10 agosto 2012

domenica 29 luglio 2012

L'Avvelenata allo Joggi Avant Folk

L'Avvelenata cronaca di una deriva allo Joggi Avant Folk
venerdì 17 agosto ore 20

Oltre la proiezione del doc, ci sarà un incontro con Claudio Metallo e Francesco Cirillo.

domenica 15 luglio 2012

lunedì 28 maggio 2012

martedì 3 aprile 2012

L'Avvelenata cronaca di una deriva

L'avvelenata cronaca di una deriva: il trailer

un documentario di Claudio Metallo



Sinossi.

L'avvelenata-cronaca di una deriva è una operazione di recupero della memoria collettiva:
Il 14 dicembre del 1990, la motonave Rosso si arena sulla spiaggia delle Formiciche, nel comune di Amantea, in provincia di Cosenza. Prima del suo ultimo viaggio, la Rosso, con il nome di Jolly Rosso era stata affittata dal governo italiano per trasportare rifiuti tossici dal Libano all'Italia ed era conosciuta come nave dei veleni. I cittadini vengono tranquillizzati sul carico della nave: non c'è niente di pericoloso. A distanza di vent'anni, nella valle del fiume Oliva, ad un paio di chilometri dal luogo dello spiaggiamento, vengono ritrovati 90000 metri cubi di rifiuti nocivi, individuati dopo i carotaggi ordinati dalla procura della Repubblica di Paola (Cosenza).
Negli anni molte altre procure e molti procuratori hanno indagato sull'affondamento in mare, di navi carretta piene di rifiuti. Il capitano Natale De Grazia, sembrava essere molto vicino alla verità su questa questione, ma è morto in circostanze poco chiare il 15 dicembre del 1995.
Il sito della valle del fiume Oliva non è il solo luogo inquinato in Calabria: ci sono le ferriti di zinco seppellite nella sibaritide, le case e le scuole di Crotone costruite con veleni industriali.
Il 24 ottobre del 2009, i calabresi si ritrovano proprio ad Amantea a manifestare  per chiedere con forza verità, giustizia e le bonifiche dei territori inquinati. Rifiuti smaltiti illecitamente significa tumori, che purtroppo molti medici della zona devono diagnosticare ai loro pazienti, come il dottor Cosmo De Matteis, che ci parla dello stato di salute degli abitanti del basso tirreno cosentino. Francesco Cirillo e Rosanna Grisolia ci guidano attraverso la vicenda degli affondamenti sospetti di navi piene di rifiuti nel mediterraneo che pare siano diverse centinaia. Nel documentario si alternano, anche, l'intervista ad Elio Veltri (autore del libro Mafia Pulita), le immagini inedite della motonave Rosso alla deriva e del suo interno, ma anche delle bellezze dei luoghi feriti dall'inquinamento e soprattutto ci sono le testimonianze audio e video della manifestazione di Amantea che ci raccontano di una Calabria che si ribella.


Note sul documentario.
di Claudio Metallo.

Sono state realizzate molte inchieste sulla questione delle cosìdette navi dei veleni, quelle imbarcazioni riempite di rifiuti nocivi fatte affondare nel mare Mediterraneo, ma anche sulle coste africane non bagnate dal mare nostrum. Nel comune di Amantea, dove dove sono cresciuto, l'evento dello spiaggiamento della motonave Rosso non è stato dimenticato. Personalmente, ricordo di essere andato a vedere quel bestione rosso in mezzo alle onde, accompagnato da mio padre (che ho intervistato nel documentario) e mio nonno. Avevo solo 10 anni e ricordo poco altro, ma il fatto che ciclicamente il caso riesplodesse, ha fatto si che l'interesse in questa vicenda non scemasse mai. Il dato di fatto che ci siano dei rifiuti vicino al fiume Olive ha confermato tragiche certezze.
Visto che lavoro con le immagini e racconto storie attraverso di esse, ho pensato che dovevo raccontare questa vicenda. Ho provato a cercare interlocutori che dessero alla vicenda un risalto nazionale, ma le risposte erano sempre le stesse: "E' una storia vecchia.". In effetti, in molti l'hanno raccontata, ma dovevo liberarmi di questa storia e così ho deciso di girare un lavoro più personale, di non fare un'inchiesta, ma mettermi dentro al film in prima persona, cosa che non avevo mai fatto prima. Ho pensato: "Ho girato dalla Val di Susa a Napoli, passando per Afragola, Bologna, Roma e Lamezia Terme e proprio adesso che c'è da raccontare una storia successa sotto casa mia non posso non mettermi in mezzo.". Così è nata l'idea di recuperare la memoria storica dello spiaggiamento della nave, ma anche di mettere insieme le immagini del corteo di Amantea ad imperitura memoria (speriamo) di quel momento di ribellione. Anche il titolo gucciniano, L'avvelenata, rispecchia questo percorso: siamo noi calabresi avvelenati, arrabbiati, per quello che è stato fatto alla nostra terra, siamo avvelenati nel senso che viviamo in mezzo a veleni che non abbiamo prodotto noi, ma anche la nave potrebbe esse 'avvelenata' e fonte dei nostri problemi, com'è stato rivelato sul Corriere della Calabria. Il recupero delle testimonianze non è stato facile, nonostante tutto si ha ancora un certo timore a parlare di questa vicenda èd'obbligo, quindi, ringraziare Maurizio Marzolla, Maria Tarzia e Gabriele Morabito che mi hanno fornito le loro immagini chiedendomi solamente di fare un bel lavoro, così come Carmine Senarcia che ha composto le musiche originali. Ringrazio anche chi mi ha dato le immagine della nave, cioè uno dei miei zii e Amerigo Spinelli. Sarebbe stato un peccato non rivedere quelle immagini come non raccontare manifestazione, anche per dirci: C' è stato un momento in cui ci siamo ribellati, abbiamo portato le tv nazionali in Calabria. Abbiamo cacciato, dal corteo, i nostri politici ed abbiamo detto no alla 'ndrangheta: due degli elementi che contribuiscono a tenere la nostra terra in una condizione di arretratezza. Ci siamo ribellati anche allo Stato che ci ha condannato ad essere una pattumiera,  policanti e 'ndranghetisti hanno solo fatto il lavoro sporco. Recuperare la manifestazione di Amantea è importante perché non siamo stati con il cappello in mano a chiedere. Abbiamo gridato che la verità, la giustizia e le bonifiche.

lunedì 19 marzo 2012

I medici della camorra, intervista con Corrado De Rose

di Claudio Metallo

Le mafie non rispettano nulla, al di là dei presunti codici etici. Neanche le malettie mentali e le effettive sofferenze di chi ne è affetto. I medici della camorra (edito da Castelvecchi) di Corrado De Rose, psichiatra campano, analizza il rapporto contorto della criminalità organizzata campana con la psichiatria e soprattutto, con i professionisti che prestano il loro servizio per redigere perizie compiacenti. Nel libro vengono raccontate varie storie, tra cui l'epopea psichiatrica di Raffaele Cutolo, fondatore e capo della Nuova Camorra Organizzata, che si faceva trasferire, a suo piacimento, da un ospedale psichiatrico all'altro. Anche i suoi avversari storici della Nuova Famiglia, i Giuliano, Ammaturo, i Nuvoletta, usavano gli stessi trucchi e, spesso gli stessi periti, ad esempio Aldo Semerari, noto psichiatra neofascista che eseguiva perizie per i due cartelli criminali, ma anche per la banda della Magliana.
 Per tornare ai giorni nostri, De Rose tratta anche la vicenda di Raffaele Stolder, altro boss campano che tutt'ora cerca di uscire dal carcere adducendo motivi psichiatrici in un misto di verità e menzogna. Ovviamente, in questo saggio, vengono stigmatizzate le figure di alcuni psichiatri che lavoravano per la criminalità organizzata. Persone come, appunto, Aldo Semerari, di cui si cerca di capire quali possano essere state le reali ragione della sua uccisione e decapitazione. I medici della camorra è un libro curato nei dettagli. L'autore ci restituisce anche un quadro generale sulla storia della criminalità organizzata campana, dandoci i punti i riferimento di cui abbiamo bisogno perché questo storia sia chiara e ci dia la possibilità di inquadrare le vicende narrate nel loro contesto. Nel libro si parla, quindi del processo Cuocolo di inizio '900 per arrivare alla trattativa Stato-Cutolo-Brigate Rosse per la liberazione dell'assessore post terremoto dell'Irpinia Ciro Cirillo. Oltre alle varie vicende psichiatriche dei boss, rispunta dall'ombra il nome di Pasquale Scotti detto 'O collier, nome che gli deriva dal fatto di aver regalato una collana alla moglie di Cutolo, di cui era sodale. Scotti è sparito nel nulla la notte di natale del 1984, per ricomparire, nel 2008, firmando un manifesto mortuario fatto stampare dopo la morte del fratello. E' ancora latitante.
Si legge nel libro di De Rose che con l'approvazione della legge Gozzini (legge 663 del 1986) che "afferma la prevalenza della funzione rieducativa del carcere e della pena e dispone misure alternative come permessi premio, affido ai servizi sociali e detenzioni domiciliari, l'interesse per il ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario da parte dei camorristi si riduce drasticamente e si orienta altrove."


Claudio Metallo: Come è nata l'idea di questo libro?

Corrado De Rose: Un po’ per caso. Nel senso che, da psichiatra, quando ho iniziato a fare perizie per conto dei giudici sugli autori di reato in Campania, ho iniziato a periziare affiliati di camorra. E da lì ho cercato di capire meglio chi e come faceva finta di essere pazzo per controllare i processi a suo carico. Così ho approfondito la cosa utilizzando cronaca, materiale giudiziario e perizie e consulenze tecniche di parte per capire meglio la questione.


CM: Mi ha colpito molto la dedica del libro. "A chi soffre realmente di un disturbo mentale", come mai hai usato questa frase?

CdR: Perché mi sembrava corretto a restituire alla sofferenza – vera - psichiatrica la sua dignità, visto che ho raccontato una storia che quella dignità la butta completamente all’aria.


CM: Come mai i camorristi ricorrono alle perizie false, tutto parte dal periodo di Raffaele Cutolo?

CdR: Cutolo è stato il maestro di quest’arte perversa. E, ai suoi tempi, sfruttava un sistema ampiamente diffuso. In realtà il ricorso alle perizie nasce dal fatto che i boss, Cutolo certamente più e prima di altri, hanno capito che attraverso le perizie possono ottenere sconti di pena o altri benefici come i domiciliari, per esempio.


CM: Uno dei casi limite del libro è quello di Stolder, ce lo puoi spiegare sinteticamente?

CdR: Raffaele Stolder ha una biografia incredibile: il padre faceva la claque al festival di San Remo, aveva nove tra fratelli e sorelle, una sorella sposata con Carmine Giuliano (il boss che venne fotografato nella vasca da bagno a forma di conchiglia con Diego Maradona), e una figlia consigliere per Forza Italia della municipalità di Napoli San Lorenzo Vicaria. Aveva legami trasversali, importava crack e corrompeva poliziotti. Aveva un bunker in una grotta che era un rifugio antiaereo nella seconda guerra mondiale dove aveva fatto istallare anche l'aria condizionata. Il suo giro di affari era da 150milioni di lire al mese di trent’anni fa e andava dall’Olanda al Sudamerica. La sintesi della sua storia psichiatrica può essere questa: uno che spesso è stato male davvero ma ancora più spesso ha simulato. Finendo per confondere le acque a tal punto da rendere difficilissimo il lavoro anche a chi ha dovuto occuparsi di lui dal punto di vista sanitario.


CM: Quali delle storie che hai raccontato ti ha colpito di più. Quale ti ha fatto saltare sulla sedia?

CdR: Indubbiamente la storia di Cutolo è quella più significativa: decine di perizie, un’evasione dal manicomio criminale di Aversa. E poi Cutolo si permetteva il lusso di criticare gli psichiatri, di stabilire per se stesso cosa era giusto e cosa no, era tanto ammanigliato che le perizie su di lui sostenevano cose, dal punto di vista psichiatrico, insostenibili. Ma anche la storia peritale di Umberto Ammaturo è surreale: è stato consulente di alcune cliniche private in Sudamerica e aveva una perizia in cui si diceva che parlava con i muli. Quella che mi ha stupito di più è quella di Carlo Montella: 19 differenti diagnosi psichiatriche che lo danno per un tronco vegetale o quasi, processi sospesi e poi dalle intercettazioni si apprende che scommette sulle partite dei mondiali del 2006.


CM: Nel libro racconti che ci sono alcuni medicinali che inducono al dimagrimento e che vengono usati dai camorristi per fingersi incompatibili al carcere, ci spieghi come funzionano?

 CdR: Sono farmaci che riducono il senso della fame: amfetamine, cocaina, ormoni tiroidei. Oppure che fanno eliminare più velocemente i liquidi come i farmaci diuretici o i lassativi.


CM: Cosa pensi quando senti in televisione di un uomo potente che cerca di uscire dal carcere adducendo come pretesto l'incompatibilità?

CdR: Niente di particolare, tendenzialmente che fa parte delle strategie difensive di ciascuno. È il gioco delle parti. Ma che se chi dice di star male in carcere sta male davvero, deve essere curato. E che se quelle cure davvero non può riceverle in carcere, dal carcere deve uscire. È un diritto sancito dalla Costituzione. E poi di carcere si muore. In Italia ci si suicida in carcere 20 volte più che altrove.


CM: La strumentalizzazione delle malattie mentali è anche colpa è anche di alcuni psichiatri, ci sono dei metodi che possano garantire la loro correttezza nei processi?

CdR: Certo. Ma gli psichiatri non sono più corrotti di altri professionisti. Ci sono gli psichiatri corrotti come i commercialisti o gli avvocati corrotti. Io ho solo provato a riflettere su chi fa il mio stesso lavoro, a descrivere dal di dentro un sistema e a spiegare come funziona. Al momento non ci sono altri metodi che l’etica professionale. Se la legge prevede che tu possa essere il perito di un giudice in un processo a carico di un boss e il consulente di parte del cugino di quel boss in un altro processo, è chiaro che non ci sono troppe regole che garantiscano questa correttezza. Magari, una selezione più attenta dei periti e una valutazione dei curriculum di chi si iscrive all’albo dei periti in tribunale (ad oggi per iscriversi basta pagare una tassa) potrebbe ridurre il rischio di affidare gli incarichi a persone poco esperte.

sabato 17 marzo 2012

In memoria di Donato Bergamini

di Claudio Metallo

L'inchiesta su Donato Denis Bergamini è stata riaperta e nella puntata del 14 dicembre 2011, la trasmissione Chi l'ha visto ha dato conto degli sviluppi. In studio, c'erano la mamma ed il papà del calciatore ed il loro avvocato. Molte delle questioni portate ieri all'attenzione della pubblica opinione, in realtà erano già state sviscerate nel libro di Carlo Petrini Il calciatore suicidato edito da Kaos Edizioni. Cos'è successo a Donato Bergamini? Il 19 novembre 1989 muore il forte centrocampista del Cosenza di quegli anni che fu tra i protagonisti della storica promozione in serie B della stagione '87-'88. Dopo ventiquattro anni la squadra ritrovava la serie cadetta guidata da Gianni Di Marzio che aveva sostituito (non si sa bene perché) Franco Liguori, provocando una dura reazione dei giocatori che avevano deciso di non presentarsi agli allenamenti. Protesta rientrata dopo le minacce del presidente dell'epoca Carratelli. Donato Bergamini è nato a Boccaleone in provincia di Ferrara, arriva a Cosenza nella stagione '85-'86. A soli 27 anni muore sulla statale 106, all'altezza di Roseto Capo Spulico. La sua presunta fidanzata disse che il calciatore si era tuffato sotto le ruote di un camion che passava sulla strada. In città c'è grande commozione. Molti dei compagni di squadra giurano che l'ipotesi del suicidio è inverosimile perchè "Donato era un ragazzo pieno di vita". Bergamini era considerato uno dei giocatori più rappresentativi della squadra, alla stregua del suo migliore amico Michele Padovano, al punto che dopo la sua morte la curva sud venne intitolata proprio al giocatore ferrarese. Il camionista calabrese che guidava l'autoveicolo è stato assolto dall'accusa di omicidio. L'inchiesta della magistratura non portò a nessuna verità comprovata, ma aprì una serie di voragini. Ad esempio, la "fidanzata" di Bergamini andò con un'auto di passaggio fino ad un bar ad avvertire prima sua madre e poi i giocatori in ritiro pre-partita e si trattenne al telefono con uno di essi Francesco Marino. Qui cominciano le incongruenze perché la ragazza non accennerà a questi particolari che verranno scoperti solo dopo, il camionista investitore cambierà la sua versione dei fatti un paio di volte. I giocatori del Cosenza, compreso il coinquilino e grande amico di Bergamini, Padovano, non daranno nessun aiuto all'inchiesta. Il caso si chiuderà in un nulla di fatto, anche se l'indagine non riuscì a dimostrare né il suicidio, né l'omicidio. Alcuni giornali durante l'inchiesta comincieranno a parlare delle influenze della'ndrangheta cosentina sulla squadra. Anni dopo l'ex potente boss Franco Pino dichiarò di aver truccato una partita (Cosenza-Avellino) e come garanzia di aver tenuto in ostaggio la moglie di un giocatore della squadra avversaria al San Vito. Il dubbio che emerge è che la morte di Bergamini sia un omicidio collegabile ad un traffico di droga messo in piedi dalla criminalità cosentina. La macchina che il calciatore usava, una maserati bianca, era piena di doppi fondi ed intercapedini dov'era possibile nascondere qualsiasi cosa. Il padre di Bergamini, Domizio, ascoltato dal magistrato il 2 dicembre 1989 riferisce di una telefonata, ricevuta nella loro casa di Boccaleone, che aveva messo in grande agitazione il figlio che addirittura, secondo la testimonianza, "...era paonazzo, sudava ed alla attaccatura dei capelli aveva delle bollicine come dopo una profonda e intensa emozione." L'altro fatto strano è che nel giorno della morte Bergamini andò al cinema "Garden" con il resto della squadra, ma fu prelevato da due uomini a metà del film o almeno così risulta secondo alcune non provate testimonianze. Di sicuro il giocatore sparì dal cinema, non tornò nel ritiro e poi fu trovato morto sulla statale 106. A dire dei giocatori nessuno si accorse della sua assenza. In questa vicenda il problema che fa nascere vari sospetti è proprio questo: ci sono testimonianze che poi vengono cambiate, lettere anonime e non che cercano d'indirizzare sul totonero le indagini, una di queste arriva alla procura di Castrovillari, un'altra lettera indirizzata a Domizio Bergamini parla del coinvolgimento della presunta fidanzata di Donato e di un dirigente del Cosenza in un traffico di droga. Il dirigente consegnava una scatola di cioccolatini al calciatore che la passava alla ragazza e poi la scatola si ritrovava nel pullman del Cosenza che portava i giocatori in trasferta. La lettera continuava sostenendo che Donato l'aveva aperta e non avrebbe dovuto farlo. Depistaggi? Inoltre l'avvocato della famiglia del calciatore fece analizzare ad un perito, il professor Antonio Dell'Erba, i risultati dell'autopsia sul corpo di Donato. Tra gli elementi mancanti per un'accurata analisi, c'erano i vestiti indossati dal giocatore che hanno una storia abbastanza incredibile: i genitori non riescono a farseli ridare dall'ospedale dove fu portato il ragazzo. Padre Fedele, secondo Domizio Bergamini, gli avrebbe detto che Donato era stato ucciso e la prova era nei vestiti. Dopo qualche tempo le scarpe di Bergamini vengono consegnate alla famiglia grazie a Domenico Corrente, factotum della squadra, con la preghiera di non farlo sapere a nessuno. Le scarpe sono intatte e pulite e lo dimostrano anche le foto scattate dopo l'incidente dai carabinieri e mostrate ieri a Chi l'ha visto?. Nelle foto si vede il corpo di Bergamini intatto, con un gilet di raso intatto. Com'è possibile che un uomo investito da un camion e trascinato per sessanta metri sia perfettamente vestito e senza un graffio? Un magazziniere del Cosenza, Alfredo Rende, aveva chiamato i genitori per dirgli che voleva parlare con loro della morte del figlio: anche lui morì sulla 106 Jonica insieme a Corrente travolti da un camion che sbanda e distrugge la loro macchina. Questa è una vicenda tragica senza verità in cui un ragazzo muore e senza che i suoi familiari riescano a sapere cosa sia successo. Una storia di omertà dove sembra chiaro che chi sa qualcosa tace e chi sospetta e potrebbe essere utile non si fa avanti. Vorrei concludere citando il libro di Carlo Petrini che ha cercato di mettere in fila questi fatti in maniera completa, a cui mi sono rifatto per scrivere queste righe e di cui consiglio la lettura: "Sulla morte di Bergamini è stata fatta un'inchiesta superficiale, piena di buchi e di errori, che ha dovuto fare i conti con un muro di omertà costruito all'interno della squadra". L'altra cosa che mi fa venire il voltastomaco ripensando a questa vicenda è che nessun giornalista sportivo ha avuto il coraggio d'indagare su questa storia, di ricostruire la vicenda, di cercare di restituire qualcosa ad un ragazzo di 27 anni morto tra inganni, bugie e silenzio. Molti giornalisti sportivi dell'epoca, d'altronde, sono gli stessi che hanno nascosto ed alimentato la cosidetta calciopoli e che fanno a gara ad arruffianarsi i vari potenti del pallone. Persone che rispettano la volontà superiori di tenere tutte le questioni scomode, come questa, fuori da qualsiasi possibile svelamento nel mondo dorato del calcio.

mercoledì 14 marzo 2012

C'era una volta Lisbon Story...

C'era una volta Lisbon Story...

Vincenzo Muccioli e la 5 conferenza nazionale sulle droghe.

Vincenzo Muccioli e la 5 conferenza nazionale sulle droghe.

Tra il 12-13-14 marzo 2009, a Trieste, s'è svolta la 5° conferenza nazionale sulle droghe. Nel parterre non potevano mancare Gianfranco Fini e Carlo Giovanardi che hanno partorito quell'idiozia che è la legge n°29/2006 sulle droghe, meglio conosciuta come Fini/Giovanardi. Una legge che tra le varie stupidità, contiene l'equiparazione tra droghe leggere (ad esempio cannabis o hashish) e droghe pesanti (ad esmpio cocaina o eroina). E' storia che il proibizionismo favorisce i guadagni della criminalità organizzata: è successo negli anni del proibizionismo alcolico negli Stati Uniti. Periodo in cui si sono arricchiti in molti tra cui il bisnonno di John F. Kennedy ed anche il nostro conterraneo Rocco Perre che Antonio Nicaso nel libro che gli ha dedicato chiama Piccolo Gatsby .
La legge Fini/Giovanardi non solo va nella direzione del proibizionismo più intransigente (e quindi ottuso o in malafede), ma indica anche alla criminilatà su quale droga puntare. Se un narcotrafficante va in giro con cento grammi di erba o con cento grammi di cocaina rischia la stessa pena. La cocaina costa, al consumatore, sei o sette volte l'erba. Con cosa deciderò d'invadere il mercato per fare un sacco di soldi? Nonostante, ormai, sia considerato quasi 'uno di sinistra' Fini ha firmato due delle leggi più agghiaccianti del governo Berlusconi del 2001-2006: la legge sulle droghe e la Bossi/Fini altro capolavoro legislativo che, anche lui, vorrebbe adesso modificare. Buona fortuna.
Nella conferenza sulle droghe si sono succedute vari interventi, alcuni al limite del ridicolo.
Andando sul sito dell'evento campeggia il francobollo ufficiale dell'iniziativa: ci sono tre bei faccioni tra cui Vincenzo Muccioli! Mi stropiccio gli occhi, riguardo ed effettivamente, c'è proprio Muccioli, quello di San Patrignano. Si sa che il caro Vincenzo aveva molti amici politici ed è stato anche difeso, nei vari processi in cui è stato imputato, dall' avvocato Carlo Taormina.
Ah, già i processi: San Patrigano è stata considerata per molti anni un campo di prigionia. Il Corriere della Sera del 3 settembre 1995 riporta che durante il 15° Congresso mondiale di psichiatria sociale, i professori Sergio De Risio e Mario Cagossi dell' Istituto di psichiatria dell' Università Cattolica del Sacro Cuore, definirono la comunità come "... un paradosso nelle dimensioni che contraddice l' idea di comunita' terapeutica che si fonda innanzitutto sulle piccole quantita' dei suoi membri (15, 20 al massimo) e richiede un' organizzazione centrata sulle necessita' del singolo e del gruppo. Non e' possibile che si fondi una comunita' in senso proprio dove c' e' una quantita' elevata di soggetti. Una comunita' di questo tipo potra' avere tutti i pregi possibili, ma sicuramente in essa si concentrano e si accumulano tensioni che difficilmente si possono governare". Muccioli fu accusato, in vari processi, di costringere con la forza le persone a rimanere nella comunità durante le crisi d'astinenza e a "indebite restrizioni della libertà personale dei soggetti interessati "(Tribunale di Rimini, Sentenza 16/02/1985 ,pag.6)
Nel 1993, Franco Grizzardi, un ex ospite denunciò che un ragazzo, Roberto Maranzano, dato per disperso dal 1989 in circostanze mai chiarite da Muccioli, era stato pestato a morte nella porcilaia, che diventerà tristemente famosa, perché era indisciplinato: alzava lo sguardo mentre si mangiava ed era cattiva educazione.
" 'E' pazzesco che Roberto Maranzano sia stato punito perché nella macelleria di San Patrignano non si poteva alzare lo sguardo mentre si mangiava.' Corre un brivido tra il pubblico quando il pm Franco Battaglino racconta in aula perché Maranzano fu massacrato, 5 anni fa, nella porcilaia della comunità per tossicodipendenti più grande d' Europa. Per la prima volta i tanti fotogrammi da film dell' orrore sul "delitto di San Patrignano" arrivano in un' aula del tribunale. E' il giorno in cui il gip, Vincenzo Andreucci, deve decidere se confermare il rinvio a giudizio per Muccioli (accusato di omicidio colposo e concorso in occultamento del cadavere) e quale sentenza pronunciare per i 7 ragazzi coinvolti nell' atroce pestaggio di Maranzano." (Repubblica 24 febbraio 1994).
Dopo la denuncia di Grizzardi, il cadavere di Maranzano fu ritrovato in una discarica presso Napoli. L'autopsia confermò che la morte fu causata da un pestaggio. L'autista di Muccioli, Walter Delogu, aveva registrato lo stesso, caritatevole Muccioli (fervente cattolico) che cercava di convincere Grizzardi a non testimoniare (registrazione ascoltata in aula il 2 novembre 1995) ed in seguito, a proposito di alcuni possibili testimoni, si è lasciato sfuggire: "Ci vorrebbe un' overdose... due grammi d' eroina e un po' di stricnina... bisogna operare come con i guanti del chirurgo. Oppure bisognerebbe sparargli con una pistola sporca."
Mi sembra giusto dedicare un francobollo ad un benefattore di questa caratura morale.
Nel processo viene fuori che la porcilaia è un luogo dove le punizioni corporali erano all'ordine del giorno: viene fuori che era usuale schiacciare i testicoli, dare calci e pugni.
Durante gli anni del processo, un ex dipendente di Sanpatrignano, presentandosi volontariamente al Commissariato di Polizia, dichiarò di aver ricoperto per anni il ruolo preposto al recupero e pestaggio dei fuggitivi agli aordini di Vincenzo Muccioli. Vennero pure allo scoperto alcuni strani suicidi, come quelli di Natalia Berla e Gabriele De Paola, avvenuti nella primavera dell'89 e quello di Fioralba Petrucci, risalente al giugno 1992. Tutte e tre le persone si sono suicidate mentre si trovavano in clausura punitiva all'interno della comunità, gettandosi dalle finestre delle stanze in cui erano chiuse.
Chiaramente molti altri ospiti si decisero a denunciare le violenze subite ed addirittura violazioni della legge elettorale in favore di politici amici.

Per un lancio di uova.


di Claudio Metallo


Dagli, ormai celeberrimi, memoriali di Francesco Fonti è uscito fuori in maniera chiara, il coinvolgimento dello Stato nell'affaire 'Navi dei Veleni'. Come sappiamo, lo Stato, ha chiesto aiuto ai Nirta (storica e potente famiglia della 'ndrangheta) per smaltire rifiuti di varia natura e lo stesso Fonti faceva parte di una delle 'ndrine di San Luca. Al nome di questi cosche è legata, indissolubilmente, una città tedesca: Duisburg.
Nel 2006, Giovanni Luca Nirta doveva essere ucciso a casa sua. Invece, i killer uccidono la moglie. I giornali italiani cominciano ad interessarsi della faida di San Luca: la notizia incredibile è che tutto è partito da un lancio di uova! Si parla di un carnevale di qualche anno prima, che dai racconti sembra perso nella notte dei tempi, in cui i giovani rampolli dei Nirta-Strangio e Pelle-Vottari si sono scontrati a colpi di uova. L'episodio in questione è realmente successo: in molti (me compreso) hanno più volte scritto che le nuove leve della Cosa Nuova (o 'ndrangheta) della zona della piana sono i più idioti che queste terre martoriate ricordino. Non solo, inquinano, sparano, ammazzano, ma rapinano automobilisti di passaggio e sparano contro gli stranieri comunitari e non che si spaccano schiena, mani e polmoni in terre che spesso sono di proprietà delle 'ndrine stesse. Un giovane Mancuso è stato arrestato per una rapina di poche centinaia di euro ai danni di un camionista. I Mancuso, sono la cosca finanziariamente più potente d'Europa, secondo Giuseppe Lumia, esperto di antimafia del Partito Democratico. A proposito di potere, Lumia stava per essere cacciato dal P.D.: Veltroni non voleva ricandidarlo perché il parlamentare aveva già esercitato in due legislature (ricordate la regoletta del P.D.?), ma visto che Italia dei Valori si era proposta di metterlo in lista , il buon Walter l'aveva richiamato. E' strano notare che Lumia, esperto antimafia, minacciato di morte per il suo lavoro fuori e dentro il parlamento fosse stato lasciato fuori, mentre la moglie di Fassino, Anna Serafini non avesse avuto nessun problema a farsi riconfermare. Misteri! Come l'assenza in parlamento di molti leader dell'opposizione nel giorno dell'approvazione del ragalone alla criminalità organizzata: lo scudo fiscale.

Nirta-Strangio vs Pelle-Vottari.

Nel reggino ci sono le cosche più potenti della 'ndrangheta e quindi del mondo. Francesco Fonti ed i pochi altri pentiti calabresi, hanno rivelato che ci sono locali di 'ndrangheta provenienti dalla provincia di Reggio Calabria a Talone, Clermont Ferrand, Marsiglia in Francia. Giovanni Gullà sostiene che in tutta la costa azzurra ci sono insediamenti malavitosi che, ovviamente, fanno affari, investono e riciclano denaro sporco. Da alcune inchieste è uscito fuori che c'è un collegamento (tenuto pare da tale Salvatore Filippone) per riciclare denaro tra la locride e la Russia dell'amico Putin. Inoltre si mormora, a mezza bocca, che alcune famiglia abbiamo acquistato grossi pacchetti di azioni Gazprom e North Europe Pipeline. D'altronde gli affari a livello internazionale sono sempre stati il pallino di tutti i grandi gruppi criminali. Le 'ndrine reggine pare siano state le prime in assoluto ad eliminare il conto vendita per le grosse partite di coca ed è così che si sono guadagnati la fiducia di molti narcotrafficanti latinoamericani. Immaginate quale quantità di denaro riescono a muovere questi assassini. I giovani 'ndranghetisti non fanno le ricottine salate nei casali fuori città: parlano inglese, spagnolo, francese. Lingue, che in Calabria non parla quasi nessuno anche a causa loro. Sono persone che mirano scientificamente a mantenere questa terra sottosviluppata, gli serve così, la gente è più malleabile e si può ancora raccontare la favoletta dell' onore, del rispetto e delle regole non scritte. Tutto questo dovrebbe essere considerato inaccettabile, soprattutto per i media che vengono riempiti d'idiozie ad ogni fatto di sangue. E' il caso di ricordare, a proposito di rispetto e onore, il rapimento , alla fine degli anni ottanta, di un bambino di sette anni, Marco Fiore. Quel bambino è rimasto legato ad una catena per 17 mesi. Un bimbo di sette anni è in piena fase di sviluppo e dopo il rapimento ha dovuto sostenere una lunga riabilitazione perché non riusciva a camminare. Le sue ossa, i suoi muscoli si erano sviluppati male bloccati dal ferro freddo della catena.

Duisburg, preti e giornali.

I giorni dopo Duisburg, molti giornali italiani cominciano a minimizzare l'accaduto. Si parla del folklore dell'avvenimento e non delle implicazioni economico-criminali che ci stanno dietro. Appaiono interviste ai parenti delle vittime che difendono i loro cari. Calabria Ora del 19 agosto 2007 pubblica un'interessante dossier (al giornale li chiamano I Quaderni) La vera storia della faida: nel menù, oltre alle uova troviamo anche delle ottime arance, lanciate addosso agli sfidanti come ad Ivrea (Torino) durante la battaglia di carnevale. Si dà spazio ad i cittadini di San Luca: "Dopo Duisburg, gli abitanti, vorrebbero tornare alla normalità.". Non so bene cosa s'intenda per normalità: essere schiavi nella propria terra, collusi, ignavi, essere costretti ad emigrare?
I giornali nazionali, invece, cercano con costanza la verità ed avviano una campagna come per le fondamentali 10 domande di D'Avanzo. Proprio La Repubblica cinque giorni dopo la strage, il 20 agosto 2007, pubblica un articoletto a pagina 12! Bisognava costringere Francesco Pelle (uno dei boss dei Pelle - Vottari), alias Ciccio Pakistan, ad andare al compleanno di una diciottenne, magari non a Casoria, ma a Longobucco o Bocchigliero. Certo, per lui sarebbe stato più difficile. Ciccio Pakistan è inchiodato su una sedia a rotelle da quando hanno cercato di ammazzarlo a casa sua, ad Africo, il giorno della nascita di suo figlio. Nonostante le barriere architettoniche, che per ogni calabrese diversamente abile sono una vera tragedia, Pelle è riuscito ad avere una tranquilla latitanza, fino a quando non è stato arrestato.
Si leggono in quei giorni fiumi d'inchiostro che che riportano le parole del prete di San Luca: don Pino Strangio che parla di ricerca della verità, dell'inutilità delle condanne, non si capisce se penali o morali!
Il prete blatera, anche, di perdono. Ricordando le figure di don Pino Puglisi e don Peppino Diana, viene da domandarsi: ma chi ce l'ha mandato questo tizio a San Luca? Si è sentita forte la puzza di complicità, di omertà e di vigliaccheria ogni volta che don Pino apriva la bocca. E' interessante riportare questo brano dal blog di Roberto Galullo de Il Sole24 ore:
'Leggete questa intercettazione raccolta dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio il 13 settembre 2007, un mese dopo la strage che lasciò sul campo sei persone (una era stata appena “punciuta”, cioè affiliata, con un santino che bruciava in mano). Antonino Gioffrè, figlio del boss, rivolgendosi ad una amico dice ''abbiamo sistemato a San Luca, tutto bene tutti chiusi...capito? Non si spara più se tutto va bene''. Dall'ordinanza non e' chiaro il ruolo della Chiesa quando un altro dei figli del boss, Domenico, parlando con un amico dice : ''Poi ieri e' uscito Don Pino il prete...e il vescovo brigantino benvenuto - gli ha detto - ad un grande uomo di Seminara il nostro - ha detto - amico Rocco Gioffrè e ci teniamo - ha detto - a dare questa soddisfazione per la pace quando gli ha detto (...) poi il prete ha detto la cosa nella chiesa: ha detto ringrazio sull'anima di mio padre - ha detto - tutta Seminara - e un grande uomo di Seminara Shalom - ha detto Don Pino - Shalom a Seminara e a tutto il mondo intero''.'
Penso sia un passaggio interessante. Don Pino Strangio è colui che ha avuto l'ardire di dire che a Polsi nei giorni dei festeggiamenti al santuario della Madonna, non ci sono incontri tra boss. Per verificare questo mistero della fede, v' invito ad andare a Polsi tra fine agosto ed inizio settembre e portarvi una telecamera o una macchina fotografica: sarà molto interessante vedere la reazione della persone che riprenderete o fotografate.
Preti chiacchierati ce ne sono sempre stati, pensiamo al don Stilo, descritto nel bel libro di Corrado Staiano Africo, di cui consiglio la lettura.
La faida di San Luca, sembra conclusa, almeno per ora. Evidentemente è stato trovato un accordo. Magari, come successe per la pace tra i Nuvoletta e Bardellino, qualcuno s'è venduto qualcun'altro e la pace è stata fatta e pare che i garanti siano niente meno che i Pesce-Bellocco di Rosarno.





lunedì 12 marzo 2012

Canta che non passa. la musica della 'ndrangheta


di Claudio Metallo


Il 4 maggio 2010, a Rosarno viene arrestato Antonio Magnoli. Ricercato, a livello internazionale, per aver violato la legge sugli stupefacenti e per associazione a delinquere. Questo recitano i comunicati stampa. Sicuramente non era ricercato per detenzioni di erba ad uso personale, ma più probabilmente per raffinazione di stupefacenti e narcotraffico. Staremo a vedere, però è curioso che questo personaggio sia stato arrestato proprio a Rosarno, o meglio è strano che un italo francese (Magnoli è nato ad Antibes, vicino Cannes) abbia scelto la piana di Gioia Tauro ed in particolare Rosarno, per la sua latitanza.

Su Antibes, Victor Hugo scriveva: "Qui tutto splende, tutto fiorisce, tutto canta.". Nonostante un detto di 'ndrangheta reciti: «Davanti alla gran curti non si parra, pochi paroli e cull'occhiuzzi 'nterra, l'omu chi parra assai sempre la sgarra! Culla sua stessa lingua s'assutterra», anche in Calabria si canta e si ascolta la radio. A Rosarno dove c'era una stazione in fm, Radio Olimpia, a disposizione dei clan per mandarsi messaggi in codice, tramite dediche o canzoni specifiche. Giustamente, fa notare Claudio Cordova (http://claudiocordova.wordpress.com/) in un suo articolo, Lezioni di mafia, radio abusive, donne cassiere. Il clan Pesce di Rosarno, come, questa, sia l'ennesima prova della fusione tra arcaicità e modernità della 'ndrangheta. Inoltre c'è da notare che le donne del clan sono di più e hanno maggior peso di quelle della nuova giunta regionali Scopelliti.

A Rosarno questo inizio di maggio è stato parecchio movimentato. Oltre all'arrivo in pompa magna dei sindacati per il 1° maggio, ci sono stati una raffica di arresti e di sequestri di beni mafiosi. Gratteri ha, giustamente, ricordato al ministro (sic!) La Russa che il governo non c'entra nulla con questi, così detti, colpi inferti alle cosche. Visto che le indagini le fa la magistratura e gli arresti gli sbirri. A me piace immaginare, anche se non è così, che questa disarticolazione delle cosche rosarnesi dei Pesce-Bellocco, sia un omaggio a Giuseppe Valarioti, segretario della sezione del Partito Comunista di Rosarno, a trenta anni dal suo omicidio, avvenuto il 10 giugno del 1980, dopo la vittoria alle elezioni amministrative.

Non esistono canzoni dedicate a Peppe Valarioti, ma ne esiste almeno una dedicata a Gregorio Bellocco ed è contenuta nel disco Pensieri di un latitante. La canzone descrive le presunte virtù di questo boss, che prima dell'arresto era nella famigerata lista dei trenta latitanti più pericolosi. Il testo racconta di come i fiumi si siano prosciugati dopo l'ingiusto arresto di questo galantuomo, ritenuto mandante dell'omicidio di Franco Girardi, colpevole di non aver protetto adeguatamente la latitanza di Antonino Bellocco, facendolo arrestare.
Pare che, la canzone dedicata al capomafia rosarnese, sia stata scritta e cantata dal cugino Giuseppe Bellocco, all'epoca latitante ed arrestato nel 2007.
Questo fatto indica che molte delle canzoni delle 'ndrangheta vengono registrate in maniera amatoriale, anche perché, ormai, la tecnologia permette di registrare con una buona qualità audio, anche in casa.

Esistono anche delle etichette che si occupano di distribuire cd con i canti di malavita. Ad esempio a Reggio Calabria c'è l' Elca sound che dice di pubblicare questi dischi per ragioni folcloristiche e commerciali, visto che questo materiale si vende benissimo anche all'estero. Ad esempio, tra il 2000 ed il 2005, fece scalpore l'uscita della raccolta musicale sui canti della 'ndrangheta: La Musica della mafia. Nei tre cd che componevano la raccolta c'erano i pezzi storici del repertorio, diciamo, malavitoso calabrese. Brani che si potevano ritrovare in cd e musicassette in vendita sulle bancarelle di mezza Calabria, durante fiere, mercati e feste patronali. La raccolta vendette, solo tra Germania e Francia, circa 150000 copie e suscitò l'interesse dei media stranieri. I giornalisti di questi due paesi, cominciarono a scrivere che queste raccolte, in Italia, venivano censurate e montarono un caso sulla libertà di espressione. Tutto ridicolo, visto che quei brani hanno sempre circolato liberamente, nonostante, alcuni di essi, travalichino ampiamente l'apologia di reato. Francesca Viscione, autrice del libro La globalizzazione delle cattive idee, mafia musica e mass media, spiega, in un'intervista rilasciata per il blog La voce di Fiore: "Gli attacchi dei giornali d'oltralpe al nostro Mezzogiorno furono violentissimi e strumentali. Gli abitanti furono definiti rozzi, violenti e brutali. I tedeschi, purché non andassero sull'Aspromonte, potevano starsene tranquilli (!) a casa loro. Amanti della musica etnica e della cultura selvaggia e ribelle ballarono tarantelle mafiose. Pestando i piedi su quelli che, credevano, fossero solo morti nostri."
Nel catalogo della casa discografica reggina, Elca Sound, ci sono vari artisti, tra cui Otello Profazio e c'è anche una meritoria pubblicazione di Fred Scotti (conosciuto anche come Ciccio Freddi Scotti), autore di Tarantella guappa, ripresa anche nel bellissimo disco di Daniele Sepe, Jurnateri. Scotti, il cui vero nome era Francesco Scarpelli, fu ucciso per aver infastidito la moglie di un guappo cosentino, il 13 aprile del 1971. Sempre nel catalogo Elca c'è anche il disco di un simpatico giovanotto Angelo Mauro. Acquistando il suo cd si partecipa ad uno straordinario conocorso: Angelo Mauro a casa tua. Il concorso è, purtroppo, scaduto nel 2009.

Esiste tutta una tradizione di canzoni dedicate ai carcerati, ai delitti d'onore che effettivamente, ci piaccia o no, rientrano nei canti tradizionali, come le ballate dedicate al brigante Giuseppe Musolino, in cui egli appare come un uomo vittima di un' ingiustizia, mentre invece era un noto prepotente e mezzo 'ndranghetista. Sempre Francesca Viscione ci dice a proposito della tradizione popolare: "Quando si parla di cultura popolare si parla di una cultura millenaria, e soprattutto di una cultura estremamente condivisa.". Quella dei briganti e del brigantaggio, si può considerare, indubbiamente, "cultura estremamente condivisa". Tra l'altro , proprio Musolino, è stato interpretato dal bello dei melodrammi italiani degli anni '50, Amedeo Nazzari, nel film Il Brigante Musolino (1950) di Mario Camerini. La protagonista femminile del film è, invece, Silvana Mangano. A livello storico, il lungometraggio, in pratica conserva solo il nome del protagonista.

Oltre a cantanti come Angelo Mauro o Frank Vagabondo, l' Elca produce anche musicisti che descrivono la vita del latitante, le regole della 'ndragheta, che cantano le prodezze di Osso, Mastrosso e Carcagnosso, i tre cavalieri spagnoli che arrivarono in Calabria, Sicilia e Campania per fondare "li regoli sociali", come canta El Domingo in una sua canzone 'Ndrangheta, camurra e mafia, che racconta l'affiliazione di un giovanotto in maniera dettagliata, nella falsa ottica delle fandonie di queste organizzazione criminali. Non voglio fare l'apologia de El Domingo, però devo ammettere che ha una bellissima voce a differenza di altri cantori di malavita che non si possono ascoltare e che fanno sorgere un sentimento di vendetta per l'offesa recata alla  musica. Oltre a questo cantante con nome d'arte spagnoleggiante, ci sono altri cantanti della mafiosità e ci sono soprattutto i cd. Alcuni titoli: Cu sgarra paga! Un disco che ha in copertina un uomo morto ammazzato con la camicia sporca di sangue. Tra i titoli delle canzoni, non possiamo non notare: Appartegnu all'onorata, E diventai picciottu e l'indimenticabile Sangu chiama Sangu. Contenuti anche ne La Musica della mafia. L'inizio dell'ultimo pezzo citato (Sangu chiama Sangu) è fantastico: ci sono due tizi che si parlano prima di un duello col coltello il dialogo tra due finisce con Roccu 'u calabrisi che dice a Turi 'u palermitanu "Porto 'na 'mbasciata pe' cuntu 'i me frati. 'Nfami" e poi la canzone prosegue: "Non eri malandrinu, ma tradituri. Non eri camurrista, ma deliquenti.", insinuando l'idea che il maladrino non è traditore e che il camorrista non è un semplice delinquente, ma uomo d'onore che rispetta le leggi non scritte, ma giusta delle 'ndrine.  Altri titoli che non passano inosservati sono Vangelu 'i malavita, ma anche I tre cavalieri di Spagna oppure Onorata Società  che contiene i brani: Riconoscere la società e Comu se forma se sforma. Comunque, tra i titoli delle canzoni, secondo me, vince Mori Carogna. Questi titoli danno il senso di come, le canzoni della 'ndrangheta non siano semplici inni, ma appartengano di fatto alla cultura (in senso aulico) mafiosa. Ad esempio nel pezzo Cu sgarra paga, si racconto di una riunione in cui si decide di uccidere 'un infame'. Nel brano si parla esplicitamente del fatto che ci sono alcune violazioni che possono essere perdonate pagando pegno e si chiamano trascuranza, in altri casi, come denunciare un mafioso, si paga con la vita. Effettivamente esiste questo sistema di leggi interne alla 'ndrangheta per le trascuranze si può arrivare fino all'espulsione dalla società (cosa che non avviene, quasi, mai, di solito si può uscire solo morti), passando per il pagamento di un' ammenda e altro. Lo sgarro dell' infamità è punito, come scrivevo prima con la morte.

I temi trattati sono sempre gli stessi, l'infame che parla e paga, le forze dell'ordine senza onore ed in particolare si persegue l'inganno che gli 'ndranghetisti siano  'uomini migliori', che fanno e ricercano il bene per loro, i familiari, ma anche per il popolo. Una sonora falsità o se preferite un' onorata falsità. Una bugia costruita ad arte, visto che la forza della 'ndrangheta sul territorio si forma con la paura e la violenza e che, con la complicità di gran parte della classe politica calabrese ed imprenditoriale (del Sud e del Nord), il diritto si è trasformato in favore, in piacire. Ricordava Antonio Nicaso, nel libro La Malapianta, scritto con Gratteri, che anche i cani capiscono che bisogna tenere pulita la propria cuccia. Invece, gli 'ndranghetisti, che si fanno omaggiare con canzoni e ballate, guadagnano miliardi di euro facendo rimanere la Calabria una delle regione più povere d' Europa e ne inquinano fiumi, mari, laghi e montagne.  Altro che Appartegnu all'onorata. Loro possono permettersi di ascoltare queste belle canzoni nei mari più limpidi del mondo, lontani dalle coste che hanno cercato di distruggere con risultati, purtroppo migliori di molti cantanti impegnati ad esaltarne le gesta.

Non pagare il pizzo: una questione di dignità. La storia di Rocco Mangiardi.


di Claudio Metallo

Sto realizzando un documentario ('Un pagamu) sulla questione del pizzo a Lamezia Terme, terza città della Calabria. Lamezia comprende tre comuni: Sambiase, Nicastro e Sant'Eufemia. Proprio a Nicastro fu ritrovato il primo codice scritto della 'ndrangheta nel 1888. Questo fatto da la dimensione di come la 'ndrangheta sia radicata in questi territori. La città è amministrata da Gianni Speranza, sindaco di Sinistra, ecologia e libertà che ha fatto della lotta ai clan uno dei baluardi della sua amministrazione.
Per questo nuovo film che sto girando con Nicola Grignani e Miko Meloni, vado ad incontrare ed intervistare Rocco Mangiardi. Un uomo dall'aspetto mite, tranquillo che fuma una sigaretta dopo l'altra. Dice di non essere abituato a stare davanti alla telecamera ed in effetti è emozionato. Racconta la sua storia in maniera lenta, ponderando bene le parole. Si emoziona raccontando la sua vicenda ed ogni tanto chiede di fermare le camere, quasi che il suo racconto gli facesse rivivere realmente le sensazione che ha provato durante il percorso che lo ha portato ad essere il primo commerciante lametino ad indicare i suoi estortori in un aula di tribunale.
Prima di iniziare l'intervista, mi spiega che è sotto scorta, ma non tanto per la sua testimonianza, quanto per il fatto che durante lo svolgimento del processo, è stato sventato un attentato ai giudice Domjianni e Spataro che seguivano anche la sua vicenda. Per sicurezza, è entrato in un programma di protezione. Mangiardi, ci tiene a mettere in chiaro questo punto, per far capire che non tutti quelli che denunciano sono costretti alla scorta e quindi a rinunciare a parte della proprio "intimità". Non vuole scoraggiare i suoi colleghi, commercianti 'onesti', ad intraprendere la sua stessa strada. Sottolinea la parola "onesti" perché, aggiunge, altri sono collusi e fanno affari con le cosche locali.
Il suo racconto comincia, nella migliore tradizione, con una sua presentazione:

"Sono Rocco Mangiardi e sono un piccolo commerciante di Lamezia Terme. Ho un negozio di autoricambi in via del Progresso, la via commerciale principale della città.
La mia storia con il racket inizia, grosso modo, nel 2006. Negli anni precedenti avevo avuto solo avvisaglie, grosse avvisaglie che mi erano costate molto, ma poi era tutto rallentato perché c'erano in corso guerre da cosche ed avevano altro a cui pensare.
Nel 2006 vengono alcuni individui che già frequentavano la mia attività, il mio magazzino e mi chiedono di non dare più credito a nessuno perché, pagando una tangente di 1200 euro al mese, avrei risolto tutti i miei problemi. Mi dissero di dare questo pensierino a Pasquale Giampà che era il reggente del clan Giampà, qui a Lamezia Terme. Questa zona era sotto la sua tutela."

Nel negozio di Rocco Mangiardi lavorano quasi solo  giovani, tutti messi a posto.

"Pagare questa cifra per me voleva dire chiudere questa attività e mandare a casa i ragazzi che lavorano con me.
Sono entrato in contatto con  l'associazione antirakcet di Lamezia Terme (ALA) ed ho ritenuto opportuno iniziare a collaborare con le forze dell'ordine. Ci sono state delle intercettazioni e poi gli arresti di quattro persone, tra cui Pasquale Giampà."

Claudio Metallo: Dopo cos'è successo?

Rocco Mangiardi: "Dopo gli arresti del maggio 2008 è iniziato il processo. Il momento più importante sia per me che per il procedimento è stato il primo grado, quando sono andato a testimoniare contro questi individui che cercavano di estorcermi del denaro. In quella giornata ricordo benissimo che c'erano molti commercianti al mio fianco, soprattutto quelli che aderiscono all'ALA. E' stato molto incoraggiante per me quella presenza, perché anche grazie a loro sono riuscito ad indicare al giudice i miei estortori.
La sentenza di primo grado è stato di circa 14 anni per i due imputati maggiori e in secondo grado è stata ridotta ha circa 10 anni."


CM: Com'è andato il suo incontro con Pasquale Giampà?

RM: "L'incontro con il boss Giampà l'ho avuto quando, un suo conoscente mi ha chiesto di andare ad incontrarlo per patteggiare l'estorsione di 1200 euro al mese. Cercavo di prendere tempo. Ho chiesto se si poteva rivedere questa somma perché non ero in grado di pagare ed ho proposto 250 euro al mese. Questo signore mi ha risposto che in via del progresso pagano tutti dalla A alla Z e non chiede l'elemosina."


CM: Come mai è arrivato a testimoniare in aula, in molti casi non succede, quando l'imputato richiede il rito abbreviato, per esempio, il confronto in aula non è indispensabile.

RM: "Sono arrivato a testimoniare in aula perché con molta probabilità, il boss Giampà, non richiedendo il rito abbrevviato pensava che io mi tirassi indietro e che non andassi a testimoniare. Cosa che non è successa. Ho avvertito questa sua non richiesta di rito abbrevviato come una sfida. Credo che lui abbia fatto questo perché credeva fermamente che io non avessi il coraggio di andare a testimoniare. Cosa che non è successa"

CM: Com'è cambiata la sua vita, si sente più sicuro?(Mangiardi, mi guarda in faccia e sorride):

RM: "Vivo sotto scorta dal Natale del 2009. Grazie all'appoggio anche della mia famiglia stiamo vivendo con serenità questa situazione. Anche la mia attività è tutelata dalla mattina alla sera. Un po' d'intimità è andata a mancare, ma mi sento comunque più libero e più sicuro che sotto protezione di un boss della 'ndrangheta. Ne ho guadagnato in libertà, ma anche in dignità. A miei figli ho cercato di passare alcuni valori, se non andavo avanti con questo discorso, rinnegavo quello che gli avevo insegnato. Potevano dirmi: ci hai insegnato una cosa ed adesso che puoi metterla in pratica ti tiri indietro?"

CM: Hanno accettato la situazione.

RM: "Si, si. Quando ne ho parlato con loro, ci siamo guardati negli occhi e sarebbe stato traumatico se avessi fatto il contrario."

CM: Secondo lei, come mai la 'ndrangheta, nonostante gli introiti enormi derivanti dal traffico di droga o dagli appalti continua a chiedere il pizzo?

RM: "L'estorsione è comunque una fonte di guadagno, non è la più grossa ma sono sempre soldi. Chiedere un'estorsione ad un piccolo commerciante come me, gli serve come monito per far capire alla gente ed ai miei colleghi commercianti che qua comandano loro.
Vogliono sottomettere la gente, comandare, guadagnare ed avere le mani in tutte le attività economiche della zona."

CM: Se lei dovesse convincere una persona a non pagare, a ribellarsi come ha fatto lei, cosa direbbe?

RM: "Ai miei colleghi direi di pensare ai propri figli, perché pagando non gli diamo un bel futuro. Anche loro si ritroveranno con i nostri problemi e non potranno andare avanti con le loro aziende. Per questo bisognerebbe andare contro alla 'ndrangheta, a questa gentaglia."

Tra una pausa e l'altra sono siamo insieme a Mangiardi, circa tre ore, ma quando gli chiedo, a fine intervista, se vuole aggiungere qualcosa, mi dice:
"Si, vorrei dire che spero che i genitori la smettano di dire ai propri figli che il futuro lo cambieranno loro. Il futuro, lo si cambia insieme, non possiamo delegare ai nostri figli il problema della 'ndrangheta." .



Marlane, la fabbrica dei veleni: Intervista a Francesco Cirillo.


di Claudio Metallo

Francesco Cirillo è autore del libro Marlane:la fabbrica dei veleni, scritto con Luigi Pacchiano (operaio della Marlane e sindacalista) e Giulia Zanfino (giornalista). La fabbrica fu costruita a Praia a Mare (Cosenza) dal conte Rivetti con i soldi della Cassa per il Mezzogiorno; su 1100 lavoratori che vi hanno lavorato, circa 140 si sono morti per malattie tumorali, sulle quali è in corso un processo alla procura di Paola (CS).
Dalle interviste realizzate per il libro, è stato tratto un servizio giornalistico che è andato in onda durante la trasmissione Crash di Rai Educational. Le testimonianze raccolte dagli autori del libro sono drammatiche: sotto il ricatto del lavoro, gli operai della Marlane si sono esposti per anni ai fumi e vapori industriali generati dalle stoffe prodotte in fabbrica. Si lavorava in un ambiente unico, privo di areatori e senza pareti divisorie, quindi anche chi non era addetto alle lavorazioni più tossiche subiva le esalazioni dei coloranti e delle altre sostanze utilizzate. Persino in un depliant pubblicitario, i lavoratori appaiono al lavoro privi di guanti e mascherine, mostrando senza preoccupazioni queste condizioni di totale insicurezza. L`azienda e i suoi ex dirigenti  imputati smentiscono queste accuse. Resta, però, senza bisogno che lo si stabilisca in un processo, il dramma delle famiglie: figli e mogli lasciati soli, che non hanno fino a oggi trovato il coraggio di chiedere la verità, magari anche per la promessa di un posto di lavoro nella stessa fabbrica che gli aveva portato via un familiare.
La lettura del libro, edito da Coessenza (www.coessenza.org) è dura, a tratti straziante. Ecco l'intervista a Cirillo:

- Come nasce e si sviluppa la vicenda che raccontate nel libro, in sintesi?
Nasce alla fine degli anni '90, quando Luigi Pacchiano e Alberto Cunto operai della Marlane si presentarono ad una riunione ambientalista a Scalea e cominciarono a raccontare l’orrore delle morti di tumore. Per me fu uno shock vero e proprio. Il giorno dopo mi presentai ai cancelli della fabbrica e cominciai a parlare con gli operai cercando storie e verifiche a quanto mi era stato riferito. Nel 2001 pubblicai per la prima volta in un mio libro sui mali della Calabria un intervista a Luigi Pacchiano, che denunciò i fatti che avvenivano nella fabbrica suscitando le ire dei sindacati, dei partiti, della dirigenza e naturalmente del sindaco dell’epoca che era Praticò, il quale ci rifiutò la sala consiliare per presentare il libro. Per protesta lo presentammo nel cimitero con le vedove degli operai, che per la prima volta uscirono allo scoperto. Poi chiamai Alessandro Sortino che lavorava alle Iene e per la prima volta la storia finì su un canale nazionale.

- Ci puoi spiegare brevemente la storia del conte Rivetti e del Cristo di Maratea ?
Nel 1957 il conte Rivetti riesce ad ottenere un finanziamento di ben 6 miliardi di lire e costruisce sia il lanificio a Maratea denominato R1 che quello di Praia a Mare denominato R2. Fare il benefattore con i soldi dello Stato è stato molto semplice. Compra tutto quanto c’è da comprare, fino a determinare l’amministrazione comunale sia di Maratea che di Praia, entrambe democristiane. Poi ha l’idea del Cristo che non è per niente somigliante alle figure iconografiche, ma piuttosto a se stesso con un po’ di barba. Alla sua morte viene seppellito in una grotta basiliana posta sotto i piedi della statua ed inaccessibile ai visitatori.

- Quali sono le testimonianze che più vi hanno colpito e per quale motivo?
Le testimonianze degli ammalati e delle vedove, sono tutte terribili, in quanto parlano di sofferenza, di solitudine delle famiglie, di miseria vera e propria. Le famiglie colpite dal tumore sono state letteralmente abbandonate, spesso minacciate dai dirigenti, isolate dal resto del corpo operaio. La testimonianza di Franco De Palma resta centrale a tutto: in quanto colpito da tumore si autoaccusa di aver partecipato direttamente al seppellimento dei rifiuti tossici per decine e decine di anni. 

- I sindacati e le istituzioni calabresi cosa hanno fatto?
I sindacati e le istituzioni che adesso si sono costituiti parte civile, e parlo della regione, Provincia, Comune, CGIL, non hanno mai fatto nulla, nonostante fossero a conoscenza di quanto avveniva in fabbrica. Anzi hanno fatto di tutto per spingere al silenzio, minacciando con pubblici comunicati anche Pacchiano e Cunto, rappresentanti del sindacato Slai Cobas nella fabbrica.

- A che punto è il processo?
Il processo è al quarto rinvio. La prossima udienza si farà il 30 dicembre e di sicuro verrà rinviato nuovamente. La difesa dei 13 imputati, punta su una cosa sola, il boicottaggio a largo raggio di ogni cosa che possa far partire il processo. Ad ogni udienza escono fuori convocazioni errate, indirizzi errati, nomi errati. Uno stillicidio di errori che il deputato Boccuzzi, sopravvissuto alla strage della Tyssen, ha evidenziato con un interrogazione parlamentare.

- I media main stream hanno dato risalto alla vicenda?
La trasmissione Crash, che va in onda ogni mercoledì su Rai Tre, ha trasmesso per la prima volta un'inchiesta documentario di Giulia Zanfino collegata direttamente alla nostra inchiesta venuta fuori con il libro. Solo il Manifesto e Liberazione si sono occupati della vicenda, per il resto zero assoluto. I quotidiani regionali ad ogni udienza pubblicano i comunicati del sit-in davanti il tribunale di Paola, poi tutto ritorna nel dimenticatoio.


- Ed a Praia che si dice?
A Praia continuano a far finta di niente. La questione Marlane non fa parte del dibattito politico in quanto i due ex sindaci, Praticò e Lomonaco, di destra e di sinistra a seconda delle angolazioni, continuano ad avere peso politico per le prossime amministrative di aprile.

- Una parola per definire questa vicenda, a cosa hai pensato quando hai cominciato a mettere in fila i fatti?
Ho provato molta tristezza per la sfilza di operai morti ed ammalati e per lo loro famiglie, e molta rabbia. In Calabria storie di questo genere ne esistono diverse. Pensiamo a quanto avvenuto con il sotterramento di 35 mila tonnellate di rifiuti tossici nella piana di Sibari ed a come gli autori di questo crimine se la siano cavata con la prescrizione ed archiviazione del processo, iniziato e poi dissolto. Pensiamo alla situazione esistente a Crotone dove con i rifiuti sono state costruite scuole. Pensiamo alle mancate bonifiche nella Valle dell’Olivo, a San Calogero di Vibo, alla stessa Marlane di Praia. Pensiamo al silenzio tombale sulle navi dei veleni ed all’inutile sacrificio del comandante Natale de Grazia. In Calabria esiste un forte legame fra politica, settori della magistratura, ‘ndrangheta e massoneria che rende inutili tutti gli sforzi che cittadini onesti fanno per pulire dal marcio l’intera regione. Qui tutto è tossico.

- Che fine ha fatto la Marlane di Praia? Esiste ancora?
La Marlane è stata chiusa non per improduttività ma semplicemente perché è convenuto a Marzotto a spostarla in paesi dell’est, dove la manodopera costa molto meno e dove ancora sono attivi finanziamenti sia da parte della Comunità Europea che delle stesse nazioni.

La cosa incredibile di tutto il racconto è proprio questa: famiglie distrutte, persone umiliate costrette nel letto di ospedale a firmare il proprio licenziamento con la promessa del posto per un figlio ed alla fine la fabbrica chiude ed il lavoro rimane un miraggio, a differenza dei tumori che sono maledettamente reali.

Le tre leggende di Istanbul


Quante leggende avvolgono Istanbul? Quante di queste sono vere e quante nate dal fascino di una città   a metà  tra oriente ed occidente. Forse alcune sono nate nei vecchi bar, ormai ristrutturati, sotto il ponte di Galata. Altre, bevendo thè nero, vicino al palazzo Topkapi, alcune sono dovute al Raki, l'alcoolica bevanda, simile all'anice lattescente che si beve per le strade della ex capitale dell'Impero Ottomano. In alcuni casi, essere svegliato in piena notte dal muezzin che richiama alla preghiera e poi non riuscire più a chiudere occhio, può aver dato vita a vicende eroiche e meno eroiche che vengono tramandate di secolo in secolo.
Le tre leggende di Istanbul, racconta tre storie di questa straordinaria città . Quali saranno vere?

Le tre leggende Istanbul è un mockumentary girato, per gioco, da Claudio Metallo durante una vacanza nella città  turca.
Scaricalo da qui:
Le tre leggende di Istanbul