lunedì 19 marzo 2012

I medici della camorra, intervista con Corrado De Rose

di Claudio Metallo

Le mafie non rispettano nulla, al di là dei presunti codici etici. Neanche le malettie mentali e le effettive sofferenze di chi ne è affetto. I medici della camorra (edito da Castelvecchi) di Corrado De Rose, psichiatra campano, analizza il rapporto contorto della criminalità organizzata campana con la psichiatria e soprattutto, con i professionisti che prestano il loro servizio per redigere perizie compiacenti. Nel libro vengono raccontate varie storie, tra cui l'epopea psichiatrica di Raffaele Cutolo, fondatore e capo della Nuova Camorra Organizzata, che si faceva trasferire, a suo piacimento, da un ospedale psichiatrico all'altro. Anche i suoi avversari storici della Nuova Famiglia, i Giuliano, Ammaturo, i Nuvoletta, usavano gli stessi trucchi e, spesso gli stessi periti, ad esempio Aldo Semerari, noto psichiatra neofascista che eseguiva perizie per i due cartelli criminali, ma anche per la banda della Magliana.
 Per tornare ai giorni nostri, De Rose tratta anche la vicenda di Raffaele Stolder, altro boss campano che tutt'ora cerca di uscire dal carcere adducendo motivi psichiatrici in un misto di verità e menzogna. Ovviamente, in questo saggio, vengono stigmatizzate le figure di alcuni psichiatri che lavoravano per la criminalità organizzata. Persone come, appunto, Aldo Semerari, di cui si cerca di capire quali possano essere state le reali ragione della sua uccisione e decapitazione. I medici della camorra è un libro curato nei dettagli. L'autore ci restituisce anche un quadro generale sulla storia della criminalità organizzata campana, dandoci i punti i riferimento di cui abbiamo bisogno perché questo storia sia chiara e ci dia la possibilità di inquadrare le vicende narrate nel loro contesto. Nel libro si parla, quindi del processo Cuocolo di inizio '900 per arrivare alla trattativa Stato-Cutolo-Brigate Rosse per la liberazione dell'assessore post terremoto dell'Irpinia Ciro Cirillo. Oltre alle varie vicende psichiatriche dei boss, rispunta dall'ombra il nome di Pasquale Scotti detto 'O collier, nome che gli deriva dal fatto di aver regalato una collana alla moglie di Cutolo, di cui era sodale. Scotti è sparito nel nulla la notte di natale del 1984, per ricomparire, nel 2008, firmando un manifesto mortuario fatto stampare dopo la morte del fratello. E' ancora latitante.
Si legge nel libro di De Rose che con l'approvazione della legge Gozzini (legge 663 del 1986) che "afferma la prevalenza della funzione rieducativa del carcere e della pena e dispone misure alternative come permessi premio, affido ai servizi sociali e detenzioni domiciliari, l'interesse per il ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario da parte dei camorristi si riduce drasticamente e si orienta altrove."


Claudio Metallo: Come è nata l'idea di questo libro?

Corrado De Rose: Un po’ per caso. Nel senso che, da psichiatra, quando ho iniziato a fare perizie per conto dei giudici sugli autori di reato in Campania, ho iniziato a periziare affiliati di camorra. E da lì ho cercato di capire meglio chi e come faceva finta di essere pazzo per controllare i processi a suo carico. Così ho approfondito la cosa utilizzando cronaca, materiale giudiziario e perizie e consulenze tecniche di parte per capire meglio la questione.


CM: Mi ha colpito molto la dedica del libro. "A chi soffre realmente di un disturbo mentale", come mai hai usato questa frase?

CdR: Perché mi sembrava corretto a restituire alla sofferenza – vera - psichiatrica la sua dignità, visto che ho raccontato una storia che quella dignità la butta completamente all’aria.


CM: Come mai i camorristi ricorrono alle perizie false, tutto parte dal periodo di Raffaele Cutolo?

CdR: Cutolo è stato il maestro di quest’arte perversa. E, ai suoi tempi, sfruttava un sistema ampiamente diffuso. In realtà il ricorso alle perizie nasce dal fatto che i boss, Cutolo certamente più e prima di altri, hanno capito che attraverso le perizie possono ottenere sconti di pena o altri benefici come i domiciliari, per esempio.


CM: Uno dei casi limite del libro è quello di Stolder, ce lo puoi spiegare sinteticamente?

CdR: Raffaele Stolder ha una biografia incredibile: il padre faceva la claque al festival di San Remo, aveva nove tra fratelli e sorelle, una sorella sposata con Carmine Giuliano (il boss che venne fotografato nella vasca da bagno a forma di conchiglia con Diego Maradona), e una figlia consigliere per Forza Italia della municipalità di Napoli San Lorenzo Vicaria. Aveva legami trasversali, importava crack e corrompeva poliziotti. Aveva un bunker in una grotta che era un rifugio antiaereo nella seconda guerra mondiale dove aveva fatto istallare anche l'aria condizionata. Il suo giro di affari era da 150milioni di lire al mese di trent’anni fa e andava dall’Olanda al Sudamerica. La sintesi della sua storia psichiatrica può essere questa: uno che spesso è stato male davvero ma ancora più spesso ha simulato. Finendo per confondere le acque a tal punto da rendere difficilissimo il lavoro anche a chi ha dovuto occuparsi di lui dal punto di vista sanitario.


CM: Quali delle storie che hai raccontato ti ha colpito di più. Quale ti ha fatto saltare sulla sedia?

CdR: Indubbiamente la storia di Cutolo è quella più significativa: decine di perizie, un’evasione dal manicomio criminale di Aversa. E poi Cutolo si permetteva il lusso di criticare gli psichiatri, di stabilire per se stesso cosa era giusto e cosa no, era tanto ammanigliato che le perizie su di lui sostenevano cose, dal punto di vista psichiatrico, insostenibili. Ma anche la storia peritale di Umberto Ammaturo è surreale: è stato consulente di alcune cliniche private in Sudamerica e aveva una perizia in cui si diceva che parlava con i muli. Quella che mi ha stupito di più è quella di Carlo Montella: 19 differenti diagnosi psichiatriche che lo danno per un tronco vegetale o quasi, processi sospesi e poi dalle intercettazioni si apprende che scommette sulle partite dei mondiali del 2006.


CM: Nel libro racconti che ci sono alcuni medicinali che inducono al dimagrimento e che vengono usati dai camorristi per fingersi incompatibili al carcere, ci spieghi come funzionano?

 CdR: Sono farmaci che riducono il senso della fame: amfetamine, cocaina, ormoni tiroidei. Oppure che fanno eliminare più velocemente i liquidi come i farmaci diuretici o i lassativi.


CM: Cosa pensi quando senti in televisione di un uomo potente che cerca di uscire dal carcere adducendo come pretesto l'incompatibilità?

CdR: Niente di particolare, tendenzialmente che fa parte delle strategie difensive di ciascuno. È il gioco delle parti. Ma che se chi dice di star male in carcere sta male davvero, deve essere curato. E che se quelle cure davvero non può riceverle in carcere, dal carcere deve uscire. È un diritto sancito dalla Costituzione. E poi di carcere si muore. In Italia ci si suicida in carcere 20 volte più che altrove.


CM: La strumentalizzazione delle malattie mentali è anche colpa è anche di alcuni psichiatri, ci sono dei metodi che possano garantire la loro correttezza nei processi?

CdR: Certo. Ma gli psichiatri non sono più corrotti di altri professionisti. Ci sono gli psichiatri corrotti come i commercialisti o gli avvocati corrotti. Io ho solo provato a riflettere su chi fa il mio stesso lavoro, a descrivere dal di dentro un sistema e a spiegare come funziona. Al momento non ci sono altri metodi che l’etica professionale. Se la legge prevede che tu possa essere il perito di un giudice in un processo a carico di un boss e il consulente di parte del cugino di quel boss in un altro processo, è chiaro che non ci sono troppe regole che garantiscano questa correttezza. Magari, una selezione più attenta dei periti e una valutazione dei curriculum di chi si iscrive all’albo dei periti in tribunale (ad oggi per iscriversi basta pagare una tassa) potrebbe ridurre il rischio di affidare gli incarichi a persone poco esperte.

sabato 17 marzo 2012

In memoria di Donato Bergamini

di Claudio Metallo

L'inchiesta su Donato Denis Bergamini è stata riaperta e nella puntata del 14 dicembre 2011, la trasmissione Chi l'ha visto ha dato conto degli sviluppi. In studio, c'erano la mamma ed il papà del calciatore ed il loro avvocato. Molte delle questioni portate ieri all'attenzione della pubblica opinione, in realtà erano già state sviscerate nel libro di Carlo Petrini Il calciatore suicidato edito da Kaos Edizioni. Cos'è successo a Donato Bergamini? Il 19 novembre 1989 muore il forte centrocampista del Cosenza di quegli anni che fu tra i protagonisti della storica promozione in serie B della stagione '87-'88. Dopo ventiquattro anni la squadra ritrovava la serie cadetta guidata da Gianni Di Marzio che aveva sostituito (non si sa bene perché) Franco Liguori, provocando una dura reazione dei giocatori che avevano deciso di non presentarsi agli allenamenti. Protesta rientrata dopo le minacce del presidente dell'epoca Carratelli. Donato Bergamini è nato a Boccaleone in provincia di Ferrara, arriva a Cosenza nella stagione '85-'86. A soli 27 anni muore sulla statale 106, all'altezza di Roseto Capo Spulico. La sua presunta fidanzata disse che il calciatore si era tuffato sotto le ruote di un camion che passava sulla strada. In città c'è grande commozione. Molti dei compagni di squadra giurano che l'ipotesi del suicidio è inverosimile perchè "Donato era un ragazzo pieno di vita". Bergamini era considerato uno dei giocatori più rappresentativi della squadra, alla stregua del suo migliore amico Michele Padovano, al punto che dopo la sua morte la curva sud venne intitolata proprio al giocatore ferrarese. Il camionista calabrese che guidava l'autoveicolo è stato assolto dall'accusa di omicidio. L'inchiesta della magistratura non portò a nessuna verità comprovata, ma aprì una serie di voragini. Ad esempio, la "fidanzata" di Bergamini andò con un'auto di passaggio fino ad un bar ad avvertire prima sua madre e poi i giocatori in ritiro pre-partita e si trattenne al telefono con uno di essi Francesco Marino. Qui cominciano le incongruenze perché la ragazza non accennerà a questi particolari che verranno scoperti solo dopo, il camionista investitore cambierà la sua versione dei fatti un paio di volte. I giocatori del Cosenza, compreso il coinquilino e grande amico di Bergamini, Padovano, non daranno nessun aiuto all'inchiesta. Il caso si chiuderà in un nulla di fatto, anche se l'indagine non riuscì a dimostrare né il suicidio, né l'omicidio. Alcuni giornali durante l'inchiesta comincieranno a parlare delle influenze della'ndrangheta cosentina sulla squadra. Anni dopo l'ex potente boss Franco Pino dichiarò di aver truccato una partita (Cosenza-Avellino) e come garanzia di aver tenuto in ostaggio la moglie di un giocatore della squadra avversaria al San Vito. Il dubbio che emerge è che la morte di Bergamini sia un omicidio collegabile ad un traffico di droga messo in piedi dalla criminalità cosentina. La macchina che il calciatore usava, una maserati bianca, era piena di doppi fondi ed intercapedini dov'era possibile nascondere qualsiasi cosa. Il padre di Bergamini, Domizio, ascoltato dal magistrato il 2 dicembre 1989 riferisce di una telefonata, ricevuta nella loro casa di Boccaleone, che aveva messo in grande agitazione il figlio che addirittura, secondo la testimonianza, "...era paonazzo, sudava ed alla attaccatura dei capelli aveva delle bollicine come dopo una profonda e intensa emozione." L'altro fatto strano è che nel giorno della morte Bergamini andò al cinema "Garden" con il resto della squadra, ma fu prelevato da due uomini a metà del film o almeno così risulta secondo alcune non provate testimonianze. Di sicuro il giocatore sparì dal cinema, non tornò nel ritiro e poi fu trovato morto sulla statale 106. A dire dei giocatori nessuno si accorse della sua assenza. In questa vicenda il problema che fa nascere vari sospetti è proprio questo: ci sono testimonianze che poi vengono cambiate, lettere anonime e non che cercano d'indirizzare sul totonero le indagini, una di queste arriva alla procura di Castrovillari, un'altra lettera indirizzata a Domizio Bergamini parla del coinvolgimento della presunta fidanzata di Donato e di un dirigente del Cosenza in un traffico di droga. Il dirigente consegnava una scatola di cioccolatini al calciatore che la passava alla ragazza e poi la scatola si ritrovava nel pullman del Cosenza che portava i giocatori in trasferta. La lettera continuava sostenendo che Donato l'aveva aperta e non avrebbe dovuto farlo. Depistaggi? Inoltre l'avvocato della famiglia del calciatore fece analizzare ad un perito, il professor Antonio Dell'Erba, i risultati dell'autopsia sul corpo di Donato. Tra gli elementi mancanti per un'accurata analisi, c'erano i vestiti indossati dal giocatore che hanno una storia abbastanza incredibile: i genitori non riescono a farseli ridare dall'ospedale dove fu portato il ragazzo. Padre Fedele, secondo Domizio Bergamini, gli avrebbe detto che Donato era stato ucciso e la prova era nei vestiti. Dopo qualche tempo le scarpe di Bergamini vengono consegnate alla famiglia grazie a Domenico Corrente, factotum della squadra, con la preghiera di non farlo sapere a nessuno. Le scarpe sono intatte e pulite e lo dimostrano anche le foto scattate dopo l'incidente dai carabinieri e mostrate ieri a Chi l'ha visto?. Nelle foto si vede il corpo di Bergamini intatto, con un gilet di raso intatto. Com'è possibile che un uomo investito da un camion e trascinato per sessanta metri sia perfettamente vestito e senza un graffio? Un magazziniere del Cosenza, Alfredo Rende, aveva chiamato i genitori per dirgli che voleva parlare con loro della morte del figlio: anche lui morì sulla 106 Jonica insieme a Corrente travolti da un camion che sbanda e distrugge la loro macchina. Questa è una vicenda tragica senza verità in cui un ragazzo muore e senza che i suoi familiari riescano a sapere cosa sia successo. Una storia di omertà dove sembra chiaro che chi sa qualcosa tace e chi sospetta e potrebbe essere utile non si fa avanti. Vorrei concludere citando il libro di Carlo Petrini che ha cercato di mettere in fila questi fatti in maniera completa, a cui mi sono rifatto per scrivere queste righe e di cui consiglio la lettura: "Sulla morte di Bergamini è stata fatta un'inchiesta superficiale, piena di buchi e di errori, che ha dovuto fare i conti con un muro di omertà costruito all'interno della squadra". L'altra cosa che mi fa venire il voltastomaco ripensando a questa vicenda è che nessun giornalista sportivo ha avuto il coraggio d'indagare su questa storia, di ricostruire la vicenda, di cercare di restituire qualcosa ad un ragazzo di 27 anni morto tra inganni, bugie e silenzio. Molti giornalisti sportivi dell'epoca, d'altronde, sono gli stessi che hanno nascosto ed alimentato la cosidetta calciopoli e che fanno a gara ad arruffianarsi i vari potenti del pallone. Persone che rispettano la volontà superiori di tenere tutte le questioni scomode, come questa, fuori da qualsiasi possibile svelamento nel mondo dorato del calcio.

mercoledì 14 marzo 2012

C'era una volta Lisbon Story...

C'era una volta Lisbon Story...

Vincenzo Muccioli e la 5 conferenza nazionale sulle droghe.

Vincenzo Muccioli e la 5 conferenza nazionale sulle droghe.

Tra il 12-13-14 marzo 2009, a Trieste, s'è svolta la 5° conferenza nazionale sulle droghe. Nel parterre non potevano mancare Gianfranco Fini e Carlo Giovanardi che hanno partorito quell'idiozia che è la legge n°29/2006 sulle droghe, meglio conosciuta come Fini/Giovanardi. Una legge che tra le varie stupidità, contiene l'equiparazione tra droghe leggere (ad esempio cannabis o hashish) e droghe pesanti (ad esmpio cocaina o eroina). E' storia che il proibizionismo favorisce i guadagni della criminalità organizzata: è successo negli anni del proibizionismo alcolico negli Stati Uniti. Periodo in cui si sono arricchiti in molti tra cui il bisnonno di John F. Kennedy ed anche il nostro conterraneo Rocco Perre che Antonio Nicaso nel libro che gli ha dedicato chiama Piccolo Gatsby .
La legge Fini/Giovanardi non solo va nella direzione del proibizionismo più intransigente (e quindi ottuso o in malafede), ma indica anche alla criminilatà su quale droga puntare. Se un narcotrafficante va in giro con cento grammi di erba o con cento grammi di cocaina rischia la stessa pena. La cocaina costa, al consumatore, sei o sette volte l'erba. Con cosa deciderò d'invadere il mercato per fare un sacco di soldi? Nonostante, ormai, sia considerato quasi 'uno di sinistra' Fini ha firmato due delle leggi più agghiaccianti del governo Berlusconi del 2001-2006: la legge sulle droghe e la Bossi/Fini altro capolavoro legislativo che, anche lui, vorrebbe adesso modificare. Buona fortuna.
Nella conferenza sulle droghe si sono succedute vari interventi, alcuni al limite del ridicolo.
Andando sul sito dell'evento campeggia il francobollo ufficiale dell'iniziativa: ci sono tre bei faccioni tra cui Vincenzo Muccioli! Mi stropiccio gli occhi, riguardo ed effettivamente, c'è proprio Muccioli, quello di San Patrignano. Si sa che il caro Vincenzo aveva molti amici politici ed è stato anche difeso, nei vari processi in cui è stato imputato, dall' avvocato Carlo Taormina.
Ah, già i processi: San Patrigano è stata considerata per molti anni un campo di prigionia. Il Corriere della Sera del 3 settembre 1995 riporta che durante il 15° Congresso mondiale di psichiatria sociale, i professori Sergio De Risio e Mario Cagossi dell' Istituto di psichiatria dell' Università Cattolica del Sacro Cuore, definirono la comunità come "... un paradosso nelle dimensioni che contraddice l' idea di comunita' terapeutica che si fonda innanzitutto sulle piccole quantita' dei suoi membri (15, 20 al massimo) e richiede un' organizzazione centrata sulle necessita' del singolo e del gruppo. Non e' possibile che si fondi una comunita' in senso proprio dove c' e' una quantita' elevata di soggetti. Una comunita' di questo tipo potra' avere tutti i pregi possibili, ma sicuramente in essa si concentrano e si accumulano tensioni che difficilmente si possono governare". Muccioli fu accusato, in vari processi, di costringere con la forza le persone a rimanere nella comunità durante le crisi d'astinenza e a "indebite restrizioni della libertà personale dei soggetti interessati "(Tribunale di Rimini, Sentenza 16/02/1985 ,pag.6)
Nel 1993, Franco Grizzardi, un ex ospite denunciò che un ragazzo, Roberto Maranzano, dato per disperso dal 1989 in circostanze mai chiarite da Muccioli, era stato pestato a morte nella porcilaia, che diventerà tristemente famosa, perché era indisciplinato: alzava lo sguardo mentre si mangiava ed era cattiva educazione.
" 'E' pazzesco che Roberto Maranzano sia stato punito perché nella macelleria di San Patrignano non si poteva alzare lo sguardo mentre si mangiava.' Corre un brivido tra il pubblico quando il pm Franco Battaglino racconta in aula perché Maranzano fu massacrato, 5 anni fa, nella porcilaia della comunità per tossicodipendenti più grande d' Europa. Per la prima volta i tanti fotogrammi da film dell' orrore sul "delitto di San Patrignano" arrivano in un' aula del tribunale. E' il giorno in cui il gip, Vincenzo Andreucci, deve decidere se confermare il rinvio a giudizio per Muccioli (accusato di omicidio colposo e concorso in occultamento del cadavere) e quale sentenza pronunciare per i 7 ragazzi coinvolti nell' atroce pestaggio di Maranzano." (Repubblica 24 febbraio 1994).
Dopo la denuncia di Grizzardi, il cadavere di Maranzano fu ritrovato in una discarica presso Napoli. L'autopsia confermò che la morte fu causata da un pestaggio. L'autista di Muccioli, Walter Delogu, aveva registrato lo stesso, caritatevole Muccioli (fervente cattolico) che cercava di convincere Grizzardi a non testimoniare (registrazione ascoltata in aula il 2 novembre 1995) ed in seguito, a proposito di alcuni possibili testimoni, si è lasciato sfuggire: "Ci vorrebbe un' overdose... due grammi d' eroina e un po' di stricnina... bisogna operare come con i guanti del chirurgo. Oppure bisognerebbe sparargli con una pistola sporca."
Mi sembra giusto dedicare un francobollo ad un benefattore di questa caratura morale.
Nel processo viene fuori che la porcilaia è un luogo dove le punizioni corporali erano all'ordine del giorno: viene fuori che era usuale schiacciare i testicoli, dare calci e pugni.
Durante gli anni del processo, un ex dipendente di Sanpatrignano, presentandosi volontariamente al Commissariato di Polizia, dichiarò di aver ricoperto per anni il ruolo preposto al recupero e pestaggio dei fuggitivi agli aordini di Vincenzo Muccioli. Vennero pure allo scoperto alcuni strani suicidi, come quelli di Natalia Berla e Gabriele De Paola, avvenuti nella primavera dell'89 e quello di Fioralba Petrucci, risalente al giugno 1992. Tutte e tre le persone si sono suicidate mentre si trovavano in clausura punitiva all'interno della comunità, gettandosi dalle finestre delle stanze in cui erano chiuse.
Chiaramente molti altri ospiti si decisero a denunciare le violenze subite ed addirittura violazioni della legge elettorale in favore di politici amici.

Per un lancio di uova.


di Claudio Metallo


Dagli, ormai celeberrimi, memoriali di Francesco Fonti è uscito fuori in maniera chiara, il coinvolgimento dello Stato nell'affaire 'Navi dei Veleni'. Come sappiamo, lo Stato, ha chiesto aiuto ai Nirta (storica e potente famiglia della 'ndrangheta) per smaltire rifiuti di varia natura e lo stesso Fonti faceva parte di una delle 'ndrine di San Luca. Al nome di questi cosche è legata, indissolubilmente, una città tedesca: Duisburg.
Nel 2006, Giovanni Luca Nirta doveva essere ucciso a casa sua. Invece, i killer uccidono la moglie. I giornali italiani cominciano ad interessarsi della faida di San Luca: la notizia incredibile è che tutto è partito da un lancio di uova! Si parla di un carnevale di qualche anno prima, che dai racconti sembra perso nella notte dei tempi, in cui i giovani rampolli dei Nirta-Strangio e Pelle-Vottari si sono scontrati a colpi di uova. L'episodio in questione è realmente successo: in molti (me compreso) hanno più volte scritto che le nuove leve della Cosa Nuova (o 'ndrangheta) della zona della piana sono i più idioti che queste terre martoriate ricordino. Non solo, inquinano, sparano, ammazzano, ma rapinano automobilisti di passaggio e sparano contro gli stranieri comunitari e non che si spaccano schiena, mani e polmoni in terre che spesso sono di proprietà delle 'ndrine stesse. Un giovane Mancuso è stato arrestato per una rapina di poche centinaia di euro ai danni di un camionista. I Mancuso, sono la cosca finanziariamente più potente d'Europa, secondo Giuseppe Lumia, esperto di antimafia del Partito Democratico. A proposito di potere, Lumia stava per essere cacciato dal P.D.: Veltroni non voleva ricandidarlo perché il parlamentare aveva già esercitato in due legislature (ricordate la regoletta del P.D.?), ma visto che Italia dei Valori si era proposta di metterlo in lista , il buon Walter l'aveva richiamato. E' strano notare che Lumia, esperto antimafia, minacciato di morte per il suo lavoro fuori e dentro il parlamento fosse stato lasciato fuori, mentre la moglie di Fassino, Anna Serafini non avesse avuto nessun problema a farsi riconfermare. Misteri! Come l'assenza in parlamento di molti leader dell'opposizione nel giorno dell'approvazione del ragalone alla criminalità organizzata: lo scudo fiscale.

Nirta-Strangio vs Pelle-Vottari.

Nel reggino ci sono le cosche più potenti della 'ndrangheta e quindi del mondo. Francesco Fonti ed i pochi altri pentiti calabresi, hanno rivelato che ci sono locali di 'ndrangheta provenienti dalla provincia di Reggio Calabria a Talone, Clermont Ferrand, Marsiglia in Francia. Giovanni Gullà sostiene che in tutta la costa azzurra ci sono insediamenti malavitosi che, ovviamente, fanno affari, investono e riciclano denaro sporco. Da alcune inchieste è uscito fuori che c'è un collegamento (tenuto pare da tale Salvatore Filippone) per riciclare denaro tra la locride e la Russia dell'amico Putin. Inoltre si mormora, a mezza bocca, che alcune famiglia abbiamo acquistato grossi pacchetti di azioni Gazprom e North Europe Pipeline. D'altronde gli affari a livello internazionale sono sempre stati il pallino di tutti i grandi gruppi criminali. Le 'ndrine reggine pare siano state le prime in assoluto ad eliminare il conto vendita per le grosse partite di coca ed è così che si sono guadagnati la fiducia di molti narcotrafficanti latinoamericani. Immaginate quale quantità di denaro riescono a muovere questi assassini. I giovani 'ndranghetisti non fanno le ricottine salate nei casali fuori città: parlano inglese, spagnolo, francese. Lingue, che in Calabria non parla quasi nessuno anche a causa loro. Sono persone che mirano scientificamente a mantenere questa terra sottosviluppata, gli serve così, la gente è più malleabile e si può ancora raccontare la favoletta dell' onore, del rispetto e delle regole non scritte. Tutto questo dovrebbe essere considerato inaccettabile, soprattutto per i media che vengono riempiti d'idiozie ad ogni fatto di sangue. E' il caso di ricordare, a proposito di rispetto e onore, il rapimento , alla fine degli anni ottanta, di un bambino di sette anni, Marco Fiore. Quel bambino è rimasto legato ad una catena per 17 mesi. Un bimbo di sette anni è in piena fase di sviluppo e dopo il rapimento ha dovuto sostenere una lunga riabilitazione perché non riusciva a camminare. Le sue ossa, i suoi muscoli si erano sviluppati male bloccati dal ferro freddo della catena.

Duisburg, preti e giornali.

I giorni dopo Duisburg, molti giornali italiani cominciano a minimizzare l'accaduto. Si parla del folklore dell'avvenimento e non delle implicazioni economico-criminali che ci stanno dietro. Appaiono interviste ai parenti delle vittime che difendono i loro cari. Calabria Ora del 19 agosto 2007 pubblica un'interessante dossier (al giornale li chiamano I Quaderni) La vera storia della faida: nel menù, oltre alle uova troviamo anche delle ottime arance, lanciate addosso agli sfidanti come ad Ivrea (Torino) durante la battaglia di carnevale. Si dà spazio ad i cittadini di San Luca: "Dopo Duisburg, gli abitanti, vorrebbero tornare alla normalità.". Non so bene cosa s'intenda per normalità: essere schiavi nella propria terra, collusi, ignavi, essere costretti ad emigrare?
I giornali nazionali, invece, cercano con costanza la verità ed avviano una campagna come per le fondamentali 10 domande di D'Avanzo. Proprio La Repubblica cinque giorni dopo la strage, il 20 agosto 2007, pubblica un articoletto a pagina 12! Bisognava costringere Francesco Pelle (uno dei boss dei Pelle - Vottari), alias Ciccio Pakistan, ad andare al compleanno di una diciottenne, magari non a Casoria, ma a Longobucco o Bocchigliero. Certo, per lui sarebbe stato più difficile. Ciccio Pakistan è inchiodato su una sedia a rotelle da quando hanno cercato di ammazzarlo a casa sua, ad Africo, il giorno della nascita di suo figlio. Nonostante le barriere architettoniche, che per ogni calabrese diversamente abile sono una vera tragedia, Pelle è riuscito ad avere una tranquilla latitanza, fino a quando non è stato arrestato.
Si leggono in quei giorni fiumi d'inchiostro che che riportano le parole del prete di San Luca: don Pino Strangio che parla di ricerca della verità, dell'inutilità delle condanne, non si capisce se penali o morali!
Il prete blatera, anche, di perdono. Ricordando le figure di don Pino Puglisi e don Peppino Diana, viene da domandarsi: ma chi ce l'ha mandato questo tizio a San Luca? Si è sentita forte la puzza di complicità, di omertà e di vigliaccheria ogni volta che don Pino apriva la bocca. E' interessante riportare questo brano dal blog di Roberto Galullo de Il Sole24 ore:
'Leggete questa intercettazione raccolta dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio il 13 settembre 2007, un mese dopo la strage che lasciò sul campo sei persone (una era stata appena “punciuta”, cioè affiliata, con un santino che bruciava in mano). Antonino Gioffrè, figlio del boss, rivolgendosi ad una amico dice ''abbiamo sistemato a San Luca, tutto bene tutti chiusi...capito? Non si spara più se tutto va bene''. Dall'ordinanza non e' chiaro il ruolo della Chiesa quando un altro dei figli del boss, Domenico, parlando con un amico dice : ''Poi ieri e' uscito Don Pino il prete...e il vescovo brigantino benvenuto - gli ha detto - ad un grande uomo di Seminara il nostro - ha detto - amico Rocco Gioffrè e ci teniamo - ha detto - a dare questa soddisfazione per la pace quando gli ha detto (...) poi il prete ha detto la cosa nella chiesa: ha detto ringrazio sull'anima di mio padre - ha detto - tutta Seminara - e un grande uomo di Seminara Shalom - ha detto Don Pino - Shalom a Seminara e a tutto il mondo intero''.'
Penso sia un passaggio interessante. Don Pino Strangio è colui che ha avuto l'ardire di dire che a Polsi nei giorni dei festeggiamenti al santuario della Madonna, non ci sono incontri tra boss. Per verificare questo mistero della fede, v' invito ad andare a Polsi tra fine agosto ed inizio settembre e portarvi una telecamera o una macchina fotografica: sarà molto interessante vedere la reazione della persone che riprenderete o fotografate.
Preti chiacchierati ce ne sono sempre stati, pensiamo al don Stilo, descritto nel bel libro di Corrado Staiano Africo, di cui consiglio la lettura.
La faida di San Luca, sembra conclusa, almeno per ora. Evidentemente è stato trovato un accordo. Magari, come successe per la pace tra i Nuvoletta e Bardellino, qualcuno s'è venduto qualcun'altro e la pace è stata fatta e pare che i garanti siano niente meno che i Pesce-Bellocco di Rosarno.





lunedì 12 marzo 2012

Canta che non passa. la musica della 'ndrangheta


di Claudio Metallo


Il 4 maggio 2010, a Rosarno viene arrestato Antonio Magnoli. Ricercato, a livello internazionale, per aver violato la legge sugli stupefacenti e per associazione a delinquere. Questo recitano i comunicati stampa. Sicuramente non era ricercato per detenzioni di erba ad uso personale, ma più probabilmente per raffinazione di stupefacenti e narcotraffico. Staremo a vedere, però è curioso che questo personaggio sia stato arrestato proprio a Rosarno, o meglio è strano che un italo francese (Magnoli è nato ad Antibes, vicino Cannes) abbia scelto la piana di Gioia Tauro ed in particolare Rosarno, per la sua latitanza.

Su Antibes, Victor Hugo scriveva: "Qui tutto splende, tutto fiorisce, tutto canta.". Nonostante un detto di 'ndrangheta reciti: «Davanti alla gran curti non si parra, pochi paroli e cull'occhiuzzi 'nterra, l'omu chi parra assai sempre la sgarra! Culla sua stessa lingua s'assutterra», anche in Calabria si canta e si ascolta la radio. A Rosarno dove c'era una stazione in fm, Radio Olimpia, a disposizione dei clan per mandarsi messaggi in codice, tramite dediche o canzoni specifiche. Giustamente, fa notare Claudio Cordova (http://claudiocordova.wordpress.com/) in un suo articolo, Lezioni di mafia, radio abusive, donne cassiere. Il clan Pesce di Rosarno, come, questa, sia l'ennesima prova della fusione tra arcaicità e modernità della 'ndrangheta. Inoltre c'è da notare che le donne del clan sono di più e hanno maggior peso di quelle della nuova giunta regionali Scopelliti.

A Rosarno questo inizio di maggio è stato parecchio movimentato. Oltre all'arrivo in pompa magna dei sindacati per il 1° maggio, ci sono stati una raffica di arresti e di sequestri di beni mafiosi. Gratteri ha, giustamente, ricordato al ministro (sic!) La Russa che il governo non c'entra nulla con questi, così detti, colpi inferti alle cosche. Visto che le indagini le fa la magistratura e gli arresti gli sbirri. A me piace immaginare, anche se non è così, che questa disarticolazione delle cosche rosarnesi dei Pesce-Bellocco, sia un omaggio a Giuseppe Valarioti, segretario della sezione del Partito Comunista di Rosarno, a trenta anni dal suo omicidio, avvenuto il 10 giugno del 1980, dopo la vittoria alle elezioni amministrative.

Non esistono canzoni dedicate a Peppe Valarioti, ma ne esiste almeno una dedicata a Gregorio Bellocco ed è contenuta nel disco Pensieri di un latitante. La canzone descrive le presunte virtù di questo boss, che prima dell'arresto era nella famigerata lista dei trenta latitanti più pericolosi. Il testo racconta di come i fiumi si siano prosciugati dopo l'ingiusto arresto di questo galantuomo, ritenuto mandante dell'omicidio di Franco Girardi, colpevole di non aver protetto adeguatamente la latitanza di Antonino Bellocco, facendolo arrestare.
Pare che, la canzone dedicata al capomafia rosarnese, sia stata scritta e cantata dal cugino Giuseppe Bellocco, all'epoca latitante ed arrestato nel 2007.
Questo fatto indica che molte delle canzoni delle 'ndrangheta vengono registrate in maniera amatoriale, anche perché, ormai, la tecnologia permette di registrare con una buona qualità audio, anche in casa.

Esistono anche delle etichette che si occupano di distribuire cd con i canti di malavita. Ad esempio a Reggio Calabria c'è l' Elca sound che dice di pubblicare questi dischi per ragioni folcloristiche e commerciali, visto che questo materiale si vende benissimo anche all'estero. Ad esempio, tra il 2000 ed il 2005, fece scalpore l'uscita della raccolta musicale sui canti della 'ndrangheta: La Musica della mafia. Nei tre cd che componevano la raccolta c'erano i pezzi storici del repertorio, diciamo, malavitoso calabrese. Brani che si potevano ritrovare in cd e musicassette in vendita sulle bancarelle di mezza Calabria, durante fiere, mercati e feste patronali. La raccolta vendette, solo tra Germania e Francia, circa 150000 copie e suscitò l'interesse dei media stranieri. I giornalisti di questi due paesi, cominciarono a scrivere che queste raccolte, in Italia, venivano censurate e montarono un caso sulla libertà di espressione. Tutto ridicolo, visto che quei brani hanno sempre circolato liberamente, nonostante, alcuni di essi, travalichino ampiamente l'apologia di reato. Francesca Viscione, autrice del libro La globalizzazione delle cattive idee, mafia musica e mass media, spiega, in un'intervista rilasciata per il blog La voce di Fiore: "Gli attacchi dei giornali d'oltralpe al nostro Mezzogiorno furono violentissimi e strumentali. Gli abitanti furono definiti rozzi, violenti e brutali. I tedeschi, purché non andassero sull'Aspromonte, potevano starsene tranquilli (!) a casa loro. Amanti della musica etnica e della cultura selvaggia e ribelle ballarono tarantelle mafiose. Pestando i piedi su quelli che, credevano, fossero solo morti nostri."
Nel catalogo della casa discografica reggina, Elca Sound, ci sono vari artisti, tra cui Otello Profazio e c'è anche una meritoria pubblicazione di Fred Scotti (conosciuto anche come Ciccio Freddi Scotti), autore di Tarantella guappa, ripresa anche nel bellissimo disco di Daniele Sepe, Jurnateri. Scotti, il cui vero nome era Francesco Scarpelli, fu ucciso per aver infastidito la moglie di un guappo cosentino, il 13 aprile del 1971. Sempre nel catalogo Elca c'è anche il disco di un simpatico giovanotto Angelo Mauro. Acquistando il suo cd si partecipa ad uno straordinario conocorso: Angelo Mauro a casa tua. Il concorso è, purtroppo, scaduto nel 2009.

Esiste tutta una tradizione di canzoni dedicate ai carcerati, ai delitti d'onore che effettivamente, ci piaccia o no, rientrano nei canti tradizionali, come le ballate dedicate al brigante Giuseppe Musolino, in cui egli appare come un uomo vittima di un' ingiustizia, mentre invece era un noto prepotente e mezzo 'ndranghetista. Sempre Francesca Viscione ci dice a proposito della tradizione popolare: "Quando si parla di cultura popolare si parla di una cultura millenaria, e soprattutto di una cultura estremamente condivisa.". Quella dei briganti e del brigantaggio, si può considerare, indubbiamente, "cultura estremamente condivisa". Tra l'altro , proprio Musolino, è stato interpretato dal bello dei melodrammi italiani degli anni '50, Amedeo Nazzari, nel film Il Brigante Musolino (1950) di Mario Camerini. La protagonista femminile del film è, invece, Silvana Mangano. A livello storico, il lungometraggio, in pratica conserva solo il nome del protagonista.

Oltre a cantanti come Angelo Mauro o Frank Vagabondo, l' Elca produce anche musicisti che descrivono la vita del latitante, le regole della 'ndragheta, che cantano le prodezze di Osso, Mastrosso e Carcagnosso, i tre cavalieri spagnoli che arrivarono in Calabria, Sicilia e Campania per fondare "li regoli sociali", come canta El Domingo in una sua canzone 'Ndrangheta, camurra e mafia, che racconta l'affiliazione di un giovanotto in maniera dettagliata, nella falsa ottica delle fandonie di queste organizzazione criminali. Non voglio fare l'apologia de El Domingo, però devo ammettere che ha una bellissima voce a differenza di altri cantori di malavita che non si possono ascoltare e che fanno sorgere un sentimento di vendetta per l'offesa recata alla  musica. Oltre a questo cantante con nome d'arte spagnoleggiante, ci sono altri cantanti della mafiosità e ci sono soprattutto i cd. Alcuni titoli: Cu sgarra paga! Un disco che ha in copertina un uomo morto ammazzato con la camicia sporca di sangue. Tra i titoli delle canzoni, non possiamo non notare: Appartegnu all'onorata, E diventai picciottu e l'indimenticabile Sangu chiama Sangu. Contenuti anche ne La Musica della mafia. L'inizio dell'ultimo pezzo citato (Sangu chiama Sangu) è fantastico: ci sono due tizi che si parlano prima di un duello col coltello il dialogo tra due finisce con Roccu 'u calabrisi che dice a Turi 'u palermitanu "Porto 'na 'mbasciata pe' cuntu 'i me frati. 'Nfami" e poi la canzone prosegue: "Non eri malandrinu, ma tradituri. Non eri camurrista, ma deliquenti.", insinuando l'idea che il maladrino non è traditore e che il camorrista non è un semplice delinquente, ma uomo d'onore che rispetta le leggi non scritte, ma giusta delle 'ndrine.  Altri titoli che non passano inosservati sono Vangelu 'i malavita, ma anche I tre cavalieri di Spagna oppure Onorata Società  che contiene i brani: Riconoscere la società e Comu se forma se sforma. Comunque, tra i titoli delle canzoni, secondo me, vince Mori Carogna. Questi titoli danno il senso di come, le canzoni della 'ndrangheta non siano semplici inni, ma appartengano di fatto alla cultura (in senso aulico) mafiosa. Ad esempio nel pezzo Cu sgarra paga, si racconto di una riunione in cui si decide di uccidere 'un infame'. Nel brano si parla esplicitamente del fatto che ci sono alcune violazioni che possono essere perdonate pagando pegno e si chiamano trascuranza, in altri casi, come denunciare un mafioso, si paga con la vita. Effettivamente esiste questo sistema di leggi interne alla 'ndrangheta per le trascuranze si può arrivare fino all'espulsione dalla società (cosa che non avviene, quasi, mai, di solito si può uscire solo morti), passando per il pagamento di un' ammenda e altro. Lo sgarro dell' infamità è punito, come scrivevo prima con la morte.

I temi trattati sono sempre gli stessi, l'infame che parla e paga, le forze dell'ordine senza onore ed in particolare si persegue l'inganno che gli 'ndranghetisti siano  'uomini migliori', che fanno e ricercano il bene per loro, i familiari, ma anche per il popolo. Una sonora falsità o se preferite un' onorata falsità. Una bugia costruita ad arte, visto che la forza della 'ndrangheta sul territorio si forma con la paura e la violenza e che, con la complicità di gran parte della classe politica calabrese ed imprenditoriale (del Sud e del Nord), il diritto si è trasformato in favore, in piacire. Ricordava Antonio Nicaso, nel libro La Malapianta, scritto con Gratteri, che anche i cani capiscono che bisogna tenere pulita la propria cuccia. Invece, gli 'ndranghetisti, che si fanno omaggiare con canzoni e ballate, guadagnano miliardi di euro facendo rimanere la Calabria una delle regione più povere d' Europa e ne inquinano fiumi, mari, laghi e montagne.  Altro che Appartegnu all'onorata. Loro possono permettersi di ascoltare queste belle canzoni nei mari più limpidi del mondo, lontani dalle coste che hanno cercato di distruggere con risultati, purtroppo migliori di molti cantanti impegnati ad esaltarne le gesta.

Non pagare il pizzo: una questione di dignità. La storia di Rocco Mangiardi.


di Claudio Metallo

Sto realizzando un documentario ('Un pagamu) sulla questione del pizzo a Lamezia Terme, terza città della Calabria. Lamezia comprende tre comuni: Sambiase, Nicastro e Sant'Eufemia. Proprio a Nicastro fu ritrovato il primo codice scritto della 'ndrangheta nel 1888. Questo fatto da la dimensione di come la 'ndrangheta sia radicata in questi territori. La città è amministrata da Gianni Speranza, sindaco di Sinistra, ecologia e libertà che ha fatto della lotta ai clan uno dei baluardi della sua amministrazione.
Per questo nuovo film che sto girando con Nicola Grignani e Miko Meloni, vado ad incontrare ed intervistare Rocco Mangiardi. Un uomo dall'aspetto mite, tranquillo che fuma una sigaretta dopo l'altra. Dice di non essere abituato a stare davanti alla telecamera ed in effetti è emozionato. Racconta la sua storia in maniera lenta, ponderando bene le parole. Si emoziona raccontando la sua vicenda ed ogni tanto chiede di fermare le camere, quasi che il suo racconto gli facesse rivivere realmente le sensazione che ha provato durante il percorso che lo ha portato ad essere il primo commerciante lametino ad indicare i suoi estortori in un aula di tribunale.
Prima di iniziare l'intervista, mi spiega che è sotto scorta, ma non tanto per la sua testimonianza, quanto per il fatto che durante lo svolgimento del processo, è stato sventato un attentato ai giudice Domjianni e Spataro che seguivano anche la sua vicenda. Per sicurezza, è entrato in un programma di protezione. Mangiardi, ci tiene a mettere in chiaro questo punto, per far capire che non tutti quelli che denunciano sono costretti alla scorta e quindi a rinunciare a parte della proprio "intimità". Non vuole scoraggiare i suoi colleghi, commercianti 'onesti', ad intraprendere la sua stessa strada. Sottolinea la parola "onesti" perché, aggiunge, altri sono collusi e fanno affari con le cosche locali.
Il suo racconto comincia, nella migliore tradizione, con una sua presentazione:

"Sono Rocco Mangiardi e sono un piccolo commerciante di Lamezia Terme. Ho un negozio di autoricambi in via del Progresso, la via commerciale principale della città.
La mia storia con il racket inizia, grosso modo, nel 2006. Negli anni precedenti avevo avuto solo avvisaglie, grosse avvisaglie che mi erano costate molto, ma poi era tutto rallentato perché c'erano in corso guerre da cosche ed avevano altro a cui pensare.
Nel 2006 vengono alcuni individui che già frequentavano la mia attività, il mio magazzino e mi chiedono di non dare più credito a nessuno perché, pagando una tangente di 1200 euro al mese, avrei risolto tutti i miei problemi. Mi dissero di dare questo pensierino a Pasquale Giampà che era il reggente del clan Giampà, qui a Lamezia Terme. Questa zona era sotto la sua tutela."

Nel negozio di Rocco Mangiardi lavorano quasi solo  giovani, tutti messi a posto.

"Pagare questa cifra per me voleva dire chiudere questa attività e mandare a casa i ragazzi che lavorano con me.
Sono entrato in contatto con  l'associazione antirakcet di Lamezia Terme (ALA) ed ho ritenuto opportuno iniziare a collaborare con le forze dell'ordine. Ci sono state delle intercettazioni e poi gli arresti di quattro persone, tra cui Pasquale Giampà."

Claudio Metallo: Dopo cos'è successo?

Rocco Mangiardi: "Dopo gli arresti del maggio 2008 è iniziato il processo. Il momento più importante sia per me che per il procedimento è stato il primo grado, quando sono andato a testimoniare contro questi individui che cercavano di estorcermi del denaro. In quella giornata ricordo benissimo che c'erano molti commercianti al mio fianco, soprattutto quelli che aderiscono all'ALA. E' stato molto incoraggiante per me quella presenza, perché anche grazie a loro sono riuscito ad indicare al giudice i miei estortori.
La sentenza di primo grado è stato di circa 14 anni per i due imputati maggiori e in secondo grado è stata ridotta ha circa 10 anni."


CM: Com'è andato il suo incontro con Pasquale Giampà?

RM: "L'incontro con il boss Giampà l'ho avuto quando, un suo conoscente mi ha chiesto di andare ad incontrarlo per patteggiare l'estorsione di 1200 euro al mese. Cercavo di prendere tempo. Ho chiesto se si poteva rivedere questa somma perché non ero in grado di pagare ed ho proposto 250 euro al mese. Questo signore mi ha risposto che in via del progresso pagano tutti dalla A alla Z e non chiede l'elemosina."


CM: Come mai è arrivato a testimoniare in aula, in molti casi non succede, quando l'imputato richiede il rito abbreviato, per esempio, il confronto in aula non è indispensabile.

RM: "Sono arrivato a testimoniare in aula perché con molta probabilità, il boss Giampà, non richiedendo il rito abbrevviato pensava che io mi tirassi indietro e che non andassi a testimoniare. Cosa che non è successa. Ho avvertito questa sua non richiesta di rito abbrevviato come una sfida. Credo che lui abbia fatto questo perché credeva fermamente che io non avessi il coraggio di andare a testimoniare. Cosa che non è successa"

CM: Com'è cambiata la sua vita, si sente più sicuro?(Mangiardi, mi guarda in faccia e sorride):

RM: "Vivo sotto scorta dal Natale del 2009. Grazie all'appoggio anche della mia famiglia stiamo vivendo con serenità questa situazione. Anche la mia attività è tutelata dalla mattina alla sera. Un po' d'intimità è andata a mancare, ma mi sento comunque più libero e più sicuro che sotto protezione di un boss della 'ndrangheta. Ne ho guadagnato in libertà, ma anche in dignità. A miei figli ho cercato di passare alcuni valori, se non andavo avanti con questo discorso, rinnegavo quello che gli avevo insegnato. Potevano dirmi: ci hai insegnato una cosa ed adesso che puoi metterla in pratica ti tiri indietro?"

CM: Hanno accettato la situazione.

RM: "Si, si. Quando ne ho parlato con loro, ci siamo guardati negli occhi e sarebbe stato traumatico se avessi fatto il contrario."

CM: Secondo lei, come mai la 'ndrangheta, nonostante gli introiti enormi derivanti dal traffico di droga o dagli appalti continua a chiedere il pizzo?

RM: "L'estorsione è comunque una fonte di guadagno, non è la più grossa ma sono sempre soldi. Chiedere un'estorsione ad un piccolo commerciante come me, gli serve come monito per far capire alla gente ed ai miei colleghi commercianti che qua comandano loro.
Vogliono sottomettere la gente, comandare, guadagnare ed avere le mani in tutte le attività economiche della zona."

CM: Se lei dovesse convincere una persona a non pagare, a ribellarsi come ha fatto lei, cosa direbbe?

RM: "Ai miei colleghi direi di pensare ai propri figli, perché pagando non gli diamo un bel futuro. Anche loro si ritroveranno con i nostri problemi e non potranno andare avanti con le loro aziende. Per questo bisognerebbe andare contro alla 'ndrangheta, a questa gentaglia."

Tra una pausa e l'altra sono siamo insieme a Mangiardi, circa tre ore, ma quando gli chiedo, a fine intervista, se vuole aggiungere qualcosa, mi dice:
"Si, vorrei dire che spero che i genitori la smettano di dire ai propri figli che il futuro lo cambieranno loro. Il futuro, lo si cambia insieme, non possiamo delegare ai nostri figli il problema della 'ndrangheta." .



Marlane, la fabbrica dei veleni: Intervista a Francesco Cirillo.


di Claudio Metallo

Francesco Cirillo è autore del libro Marlane:la fabbrica dei veleni, scritto con Luigi Pacchiano (operaio della Marlane e sindacalista) e Giulia Zanfino (giornalista). La fabbrica fu costruita a Praia a Mare (Cosenza) dal conte Rivetti con i soldi della Cassa per il Mezzogiorno; su 1100 lavoratori che vi hanno lavorato, circa 140 si sono morti per malattie tumorali, sulle quali è in corso un processo alla procura di Paola (CS).
Dalle interviste realizzate per il libro, è stato tratto un servizio giornalistico che è andato in onda durante la trasmissione Crash di Rai Educational. Le testimonianze raccolte dagli autori del libro sono drammatiche: sotto il ricatto del lavoro, gli operai della Marlane si sono esposti per anni ai fumi e vapori industriali generati dalle stoffe prodotte in fabbrica. Si lavorava in un ambiente unico, privo di areatori e senza pareti divisorie, quindi anche chi non era addetto alle lavorazioni più tossiche subiva le esalazioni dei coloranti e delle altre sostanze utilizzate. Persino in un depliant pubblicitario, i lavoratori appaiono al lavoro privi di guanti e mascherine, mostrando senza preoccupazioni queste condizioni di totale insicurezza. L`azienda e i suoi ex dirigenti  imputati smentiscono queste accuse. Resta, però, senza bisogno che lo si stabilisca in un processo, il dramma delle famiglie: figli e mogli lasciati soli, che non hanno fino a oggi trovato il coraggio di chiedere la verità, magari anche per la promessa di un posto di lavoro nella stessa fabbrica che gli aveva portato via un familiare.
La lettura del libro, edito da Coessenza (www.coessenza.org) è dura, a tratti straziante. Ecco l'intervista a Cirillo:

- Come nasce e si sviluppa la vicenda che raccontate nel libro, in sintesi?
Nasce alla fine degli anni '90, quando Luigi Pacchiano e Alberto Cunto operai della Marlane si presentarono ad una riunione ambientalista a Scalea e cominciarono a raccontare l’orrore delle morti di tumore. Per me fu uno shock vero e proprio. Il giorno dopo mi presentai ai cancelli della fabbrica e cominciai a parlare con gli operai cercando storie e verifiche a quanto mi era stato riferito. Nel 2001 pubblicai per la prima volta in un mio libro sui mali della Calabria un intervista a Luigi Pacchiano, che denunciò i fatti che avvenivano nella fabbrica suscitando le ire dei sindacati, dei partiti, della dirigenza e naturalmente del sindaco dell’epoca che era Praticò, il quale ci rifiutò la sala consiliare per presentare il libro. Per protesta lo presentammo nel cimitero con le vedove degli operai, che per la prima volta uscirono allo scoperto. Poi chiamai Alessandro Sortino che lavorava alle Iene e per la prima volta la storia finì su un canale nazionale.

- Ci puoi spiegare brevemente la storia del conte Rivetti e del Cristo di Maratea ?
Nel 1957 il conte Rivetti riesce ad ottenere un finanziamento di ben 6 miliardi di lire e costruisce sia il lanificio a Maratea denominato R1 che quello di Praia a Mare denominato R2. Fare il benefattore con i soldi dello Stato è stato molto semplice. Compra tutto quanto c’è da comprare, fino a determinare l’amministrazione comunale sia di Maratea che di Praia, entrambe democristiane. Poi ha l’idea del Cristo che non è per niente somigliante alle figure iconografiche, ma piuttosto a se stesso con un po’ di barba. Alla sua morte viene seppellito in una grotta basiliana posta sotto i piedi della statua ed inaccessibile ai visitatori.

- Quali sono le testimonianze che più vi hanno colpito e per quale motivo?
Le testimonianze degli ammalati e delle vedove, sono tutte terribili, in quanto parlano di sofferenza, di solitudine delle famiglie, di miseria vera e propria. Le famiglie colpite dal tumore sono state letteralmente abbandonate, spesso minacciate dai dirigenti, isolate dal resto del corpo operaio. La testimonianza di Franco De Palma resta centrale a tutto: in quanto colpito da tumore si autoaccusa di aver partecipato direttamente al seppellimento dei rifiuti tossici per decine e decine di anni. 

- I sindacati e le istituzioni calabresi cosa hanno fatto?
I sindacati e le istituzioni che adesso si sono costituiti parte civile, e parlo della regione, Provincia, Comune, CGIL, non hanno mai fatto nulla, nonostante fossero a conoscenza di quanto avveniva in fabbrica. Anzi hanno fatto di tutto per spingere al silenzio, minacciando con pubblici comunicati anche Pacchiano e Cunto, rappresentanti del sindacato Slai Cobas nella fabbrica.

- A che punto è il processo?
Il processo è al quarto rinvio. La prossima udienza si farà il 30 dicembre e di sicuro verrà rinviato nuovamente. La difesa dei 13 imputati, punta su una cosa sola, il boicottaggio a largo raggio di ogni cosa che possa far partire il processo. Ad ogni udienza escono fuori convocazioni errate, indirizzi errati, nomi errati. Uno stillicidio di errori che il deputato Boccuzzi, sopravvissuto alla strage della Tyssen, ha evidenziato con un interrogazione parlamentare.

- I media main stream hanno dato risalto alla vicenda?
La trasmissione Crash, che va in onda ogni mercoledì su Rai Tre, ha trasmesso per la prima volta un'inchiesta documentario di Giulia Zanfino collegata direttamente alla nostra inchiesta venuta fuori con il libro. Solo il Manifesto e Liberazione si sono occupati della vicenda, per il resto zero assoluto. I quotidiani regionali ad ogni udienza pubblicano i comunicati del sit-in davanti il tribunale di Paola, poi tutto ritorna nel dimenticatoio.


- Ed a Praia che si dice?
A Praia continuano a far finta di niente. La questione Marlane non fa parte del dibattito politico in quanto i due ex sindaci, Praticò e Lomonaco, di destra e di sinistra a seconda delle angolazioni, continuano ad avere peso politico per le prossime amministrative di aprile.

- Una parola per definire questa vicenda, a cosa hai pensato quando hai cominciato a mettere in fila i fatti?
Ho provato molta tristezza per la sfilza di operai morti ed ammalati e per lo loro famiglie, e molta rabbia. In Calabria storie di questo genere ne esistono diverse. Pensiamo a quanto avvenuto con il sotterramento di 35 mila tonnellate di rifiuti tossici nella piana di Sibari ed a come gli autori di questo crimine se la siano cavata con la prescrizione ed archiviazione del processo, iniziato e poi dissolto. Pensiamo alla situazione esistente a Crotone dove con i rifiuti sono state costruite scuole. Pensiamo alle mancate bonifiche nella Valle dell’Olivo, a San Calogero di Vibo, alla stessa Marlane di Praia. Pensiamo al silenzio tombale sulle navi dei veleni ed all’inutile sacrificio del comandante Natale de Grazia. In Calabria esiste un forte legame fra politica, settori della magistratura, ‘ndrangheta e massoneria che rende inutili tutti gli sforzi che cittadini onesti fanno per pulire dal marcio l’intera regione. Qui tutto è tossico.

- Che fine ha fatto la Marlane di Praia? Esiste ancora?
La Marlane è stata chiusa non per improduttività ma semplicemente perché è convenuto a Marzotto a spostarla in paesi dell’est, dove la manodopera costa molto meno e dove ancora sono attivi finanziamenti sia da parte della Comunità Europea che delle stesse nazioni.

La cosa incredibile di tutto il racconto è proprio questa: famiglie distrutte, persone umiliate costrette nel letto di ospedale a firmare il proprio licenziamento con la promessa del posto per un figlio ed alla fine la fabbrica chiude ed il lavoro rimane un miraggio, a differenza dei tumori che sono maledettamente reali.

Le tre leggende di Istanbul


Quante leggende avvolgono Istanbul? Quante di queste sono vere e quante nate dal fascino di una città   a metà  tra oriente ed occidente. Forse alcune sono nate nei vecchi bar, ormai ristrutturati, sotto il ponte di Galata. Altre, bevendo thè nero, vicino al palazzo Topkapi, alcune sono dovute al Raki, l'alcoolica bevanda, simile all'anice lattescente che si beve per le strade della ex capitale dell'Impero Ottomano. In alcuni casi, essere svegliato in piena notte dal muezzin che richiama alla preghiera e poi non riuscire più a chiudere occhio, può aver dato vita a vicende eroiche e meno eroiche che vengono tramandate di secolo in secolo.
Le tre leggende di Istanbul, racconta tre storie di questa straordinaria città . Quali saranno vere?

Le tre leggende Istanbul è un mockumentary girato, per gioco, da Claudio Metallo durante una vacanza nella città  turca.
Scaricalo da qui:
Le tre leggende di Istanbul


domenica 11 marzo 2012

A proposito di mobilità 02

 di Claudio Metallo

La questione della mobilità in Calabria diventa sempre più grottesca e drammatica. Mentre la Regione si sgola, ma non si capisce bene cosa stia facendo, mentre i parlamentari della destra di governo eletti al sud  dormono, la situazione delle Ferrovie dello Stato e delle linee ferrovierie calabresi diventa sempre più disastrosa. In molti hanno denunciato il fatto che gli scali merci di Lamezia Terme e Cosenza verranno chiusi, la zona del Savuto è isolata, la chiusura dei binari per Reggio Calabria sta provocando enormi disagi in tutta la regione: ritardi e soppressioni dei treni sono ormai l'unica certezza di chi si mette in viaggio per arrivare o partire da Reggio e dalla Sicilia. Le solite malelingue sostengono che ci sia un piano delle ferrovie per eliminare le fermate di Intercity ed Eurostar in quasi tutta la Calabria. Questo sarebbe, solo, un primo passo.
Ma chi ha organizzato questa ristrutturazione urgente? E come l'ha organizzata? Comunque, gli vanno fatti vivissimi complimenti! Forse è stato Bertolaso? Di lui c'è da fidarsi. E' l'uomo che ha aperto la discarica di Chiaiano. Certo la cava prescelta era piena di amianto (date un'occhiata a questo video su www.pandoratv.it: http://pandoratv.it/index.php?q=static/video_amianto) che chissà dov'è andato a finire, ma non si può sapere sempre tutto.
Il sintomo principale di un paese che sta scivolando verso una dittatura è la mancanza d'informazione e la  sua mistificazione.
I telegiornali e gli speciali televisivi, in questi giorni di inizio marzo, ci stanno bombardando (oltre che con l'urgenza delle centrali nucleari: pura follia) con il ritorno in auge delle grandi opere: prime fra tutte la Torino - Lione ed il ponte sullo stretto.
Sull'alta velocità Torino - Lione bisogna dire che abbiamo una linea ferroviaria che cade a pezzi ed ancora si deve sentire questa storia della linea veloce che faranno concorrenza agli aerei. Chi potrà viaggiarci? Verranno svendute ai privati appena finite? A che prezzo si sta realizzando un lavoro del genere? A questo proposito, il 3 marzo si è concluso a Firenze il processo in primo grado per i danni ambientali causati dai lavori per l'Alta velocità tra Firenze e Bologna, in particolare nel Mugello. Ci sono state 26 condanne da tre mesi a cinque anni e la corte ha inoltre condannato la CAVET (Consorzio Alta Velocità Emilia Toscana) che aveva in appalto i lavori da TAV s.p.a., a pagare 150 milioni di euro di risarcimenti per "furto di acqua". Fra le persone condannate a 5 anni: Alberto Rubegni, Carlo Silva e Giovanni Guagnozzi, rispettivamente presidente, consigliere delegato e direttore generale di Cavet. La cosa che ha deluso molti in questa sentenza è la semplice pena pecuniaria riferita al "furto di acqua". In Mugello sono stati prosciugate molte fonti, ruscelli, fiumi con un danno grave agli agricoltori ed allevatori della zona, oltre che all'ecostistema tutto di quelle luoghi. Da questa sentenza si deduce che se rubo una borsa, mi arrestano; se rubo l'acqua pago una multa.
Su questa sentenza sono state spese due parole, è scivolata via nei media come acqua.
Sarebbe interessante, al di là delle posizioni, avviare una discussione pubblica, anche attraverso la tv, sulle grandi opere. Il fatto che si evita con cura l'argomento fa nascere di per se qualche sospetto.
Con queste premesse ci si avvia ad iniziare i lavori per il ponte sullo stretto, che, continuano a ripeterci, è un'opera strategica, proprio come il TAV.
In questa ottica dovrebbe essere strategica anche la Salerno/Reggio Calabria, ma non sembra che si riesca né a rimetterla a posto dopo le alluvioni né tanto meno a terminare i lavori di ammodernamento. Anzi la CGIL calabrese denuncia che di questo passo ci vorranno altri venti anni.
Dovrebbe essere uno scandalo nazionale, ma poche righe e due parole in tv e tutto torna nel dimenticatoio. In compenso sappiamo tutto di Garlasco. Sul TG1 si parla, addirittura, della donna di Rogliano che ha scritto al quotidiano della Calabria, per dire ai suoi concittadini che non ha rubato il marito alla "legittima" moglie. Chi se ne importa!
I solerti parlamentari meridionali di destra si saranno arrabbiati non poco! Invece no, silenzio tombale. Certo , si legge sui giornali, che ci sono state riunioni tra onorevoli, ma se è stata presa una qualche decisione, non sappiamo quale sia. Neanche la solerte Angela Napoli, che sembra petrusino ogni minestra, ha criticato l'operato del governo.
Mentre la Salerno/Reggio cade a pezzi, dal governo arrivano continue voci sul ponte. Le strade si aprono, nel senso che si aprono in due, ci sono frane, la viabilità è in tilt e Matteoli parla di mettere la prima pietra sullo stretto. Dalle ultime notizie, sembra che il ponte risolverà la crisi economica.
Intanto scoppia l'ennesimo caso 'ndrangheta-appalti sull'A3. La solita storia: Le 'ndrine imponevano il pizzo (chiamata "tassa governativa") ed i fornitori alle ditte che lavorano all'ammodernamento. Vengono arrestati imprenditori calabresi, ma sono coinvolte le ditte Asfalti sintex,Todini e Toto imprese del nord produttivo. Dall'inchiesta emerge per l'ennesima volta il fatto (ed è un fatto) che non si riesce a fare un'opera pubblica senza l'intervento della 'ndrangheta. Quando ho sentito questa notizia, ho pensato che di sicuro la cosa avrebbe fatto scalpore visto che si parlava tanto di far ripartire le grandi opere. Era lecito soprattutto per i fautori delle cementificazioni chiedersi: "quali forze può mettere in campo la società civile contro le infiltrazione mafiose?". Era giusto anche dare una risposta ai non fautori. Invece niente, non una parola.
Sul TG1 la notizia non viene proprio data; al TG2 visto che non erano coinvolti cagnetti, orsacchiotti o rumeni la notizia viene ignorata. In compenso, sul tg diretto da Mazza è andata in onda un immancabile ed insostituibile servizio di denuncia sulle condizioni dei cattolici in Iraq, che ha ben vedere non se la passano peggio di uno sciita o di un sunnita e  che sono un'esigua minoranza. Anche lì per evitare equivoci, non viene neanche nominato Tareq Aziz, il primo ministro di fede CATTOLICA nominato da Saddam Hussein, che ha governato fino a sei anni prima e s'è reso complice degli eccidi dei curdi e di ogni nefandezza commessa da Saddam stesso. Un uomo che si toglieva la divisa militare solo per andare a trovare Papa Wojitila.
Studio Aperto, come tutti sanno, è sempre impegnato a mostrare dei sederi, al Tg4 hanno le faccie come i sederi, il TG5, lasciamolo perdere.
La notizia del riavvio delle grandi opere e quella del controllo mafioso su di esse sono notizie che andrebbero date una dopo l'altra. Non dando informazioni non si permette di farsi un'opinione sulla questione e visto che questo è un fatto noto ad ogni direttore di giornale e telegiornale, credo che ci sia premeditazione nel nascondere una notizia a favore di un'altra. Quindi non si tratta di negligenza o stupidità, ma di malafede. Tra l'altro il TG2 è diventata la fucina di portavoce e politici vari, neanche dalle frattocchie ne erano usciti fuori così tanti: Luca Salerno, ad esempio, è passato da essere il "mezzobusto" del telegiornale a portavoce di Ignazio La Russa e con quella voce che si ritrova il ministro dev'essere un mestiere duro. L'irpino Pionati è passato anche lui dal TG al parlamento, prima nell'UDC, sempre pronta ad accogliere tutti, poi ha deciso di fondare un partito tutto suo: l'alleanza di centro ed è passato armi e bagagli alla maggioranza dei berluscones. Insomma, questa è uno spaccato dell' informazione italiana. Soprattutto é triste pensare che non esiste una vigilanza su quello che succede nel meridione. Solo la Campania è salita alla ribalta, quando è servita per screditare le amministrazioni di centrosinistra che lì governano da molti anni. Da quando è scoppiato il caso rifiuti in Campania, molti calabresi (compreso Francesco Cirillo, anche lui collaboratore di questo giornale e voce critica storica della Calabria) hanno pensato che il prossimo luogo di sversamento illecito dei rifiuti sarebbe stata la nostra regione. Questo problema è  già venuto a galla in molte occasioni e si sa per certo che, anche da noi, esiste un'attività criminale sui rifiuti. Speriamo di non svegliarci, per colpa nostra e dell'informazione mainstream, sotto una montagna di cemento, fango e monnezza.


A proposito di mobilità 01

"E tu ti viaggerai con dolore"
maltempo e mobilità in Calabria
di Claudio Metallo

Danilo Orlando e Nicolino Paliano sono morti sulla Salerno - Reggio Calabria, vicino Rogliano.
Una frana ha investito il furgoncino su cui viaggiavano.
Oltre alla tragedia di queste due persone, dei loro amici e delle loro famiglie, ci sono delle domande che bisogna porsi: Come mai c'è stata questa frana? Quali materiali vengono usati per la modernizzazione dell'autostrada?
Basta qualche goccia di pioggia in più per provocare una frana mortale sulla SA-RC e mettere in ginocchio la mobilità nell'intera Calabria.
Mi scuso, ma è d'obbligo aprire una parentesi tragicomica su questa vicenda: in piena emergenza idrogeologica Pino Gentile annunciava l'arrivo in pompa magna del sottosegretario allo sviluppo economico di A.N. (esiste ancora?) Adolfo Urso per discutere della situazione.
Il ministero è retto da Claudio Scajola, che ha come obbiettivo rilanciare il nucleare in Italia. Chissà cosa farà uno che era ministro degli interni durante il G8 di Genova, con il nucleare? Altro che minaccia iraniana!
Lo so, alcuni di voi penserenno: "Qualche anno dopo il caso Moro, Cossiga, anch'egli agli interni, è diventato presidente della Repubblica".
Tornando ad Urso: qualche giorno fa leggo sul Quotidiano della Calabria che non è riuscito ad arrivare a stringere la mano all'ex socialista Gentile,  perché il maltempo l'ha bloccato...(sic!)
Il sottosegretario è poi riuscito ad arrivare in Calabria, ma il 20 febbraio, quando ha tenuto un'innocua conferenza "...su temi di politica nazionale e regionale e sulle questioni di carattere economico, con particolare riferimento alla Calabria." Bontà sua!

Dopo questa parentesi si apre riflessione, però, anche sulla questione della mobilità in Calabria e sulla mobilità per la Calabria.
Senza autostrada diventa praticamente impossibile muoversi e diventa difficile arrivare e partire.
Qualcuno penserà: "Ci sono i treni, mica ci abbandoneranno così le fedeli Ferrovie dello Stato?"
Come molti meridionali (e non solo) vivo fuori dalla mia terra d'origine e per andare a trovare i miei, prendermi una vacanza, andare ad una festa di compleanno o semplicemente stare un pò a casa, prendo quasi sempre il treno.

La cosa che si nota subito, viaggiando spesso, è la ridicola voce registrata che dice: "Grazie per aver scelto Trenitalia". Come se potessimo scegliere un altro operatore!

Non è che io sia favorevole alla privatizzazione dei servizi, perché la storia c'ha insegnato che nel 90% dei casi peggiorano e finiscono in mano a malandrini, affaristi e ladruncoli d'ogni sorta. Esempio eclatante: l'esternalizzazioni all'ASL di Locri, completamente in mano alla 'ndrangheta.

Il problema è che Trenitalia ha una struttura societaria impostagli dallo stato che la costringe a comportarsi come una società privata. Gente come Mauro Moretti (a.d. di Ferrovie) può nascondersi tranquillamente dietro a frasi come: "per i pendolari mi devono dare i soldi le regioni", o "devo fare quadrare i bilanci", proseguendo con tutto il repertorio tipico di uno che occupa quel posto non si sa bene in base a che criterio.
La sicurezza e la manutenzione, a detta di molte lavoratrici e lavoratori delle ferrovie (lavoratori e non amministratori delegati), sono diventate un optional. Tutti sappiamo che ogni tanto si spezza un treno in due, sappiamo dei ritardi e sappiamo pure che se sei un lavoratore delle ferrovie è meglio non parlare di queste cose, se no ti licenziano. Ricordiamo il caso dei ferrovieri che parlarono a Report dei problemi della linea e vennero licenziati. Ultimo, in ordine di tempo, cacciato dal lavoro per aver parlato è Dante De Angelis, che denunciò la rottura a metà di una carrozza di un Eurostar.

Per ritornare alla mera questione dei viaggi, il fatto certo è che  ci sono due momenti in cui i treni dovrebbero funzionare bene: in primis durante le feste di natale, pasqua e vacanze estive e per i pendolari.

Per chi viaggia tutti i giorni, il servizio deve funzionare per motivi che non sto qui a ripetere:. Ad esempio per un questione di dignità: "mi sto andando a far sfruttare, almeno fatemici andare comodo", ma anche per evitare l'inquinamento prodotto dalle auto.
La questione delle feste non la tiro fuori perché bisogna santificare il sacro natale, ma perché la maggior parte delle persone usano il treno in quei momenti dell'anno e visto che il treno si usa per spostarsi o almeno così mi ricordo io, è incredibile che  sia quasi impossibile viaggiare proprio in quei periodi dell'anno.
Ci sono ritardi per qualsiasi cosa: quanti di noi non hanno maledetto il fumatore che fa l'ultimo tiro quando il capotreno ha già fischiato, la signora che non riesce a salire o i ritardatari dell'ultimo minuto?

Però non si possono imputare a queste persone i ritardi di un'ora, due ed anche tre.

A dicembre per vari motivi, ho viaggiato avanti ed indietro tra Roma, Napoli ed Amantea (e da qui a Campora S.G., ovviamente in macchina). Non c'è stata una volta che il treno abbia fatto meno di un'ora e mezza di ritardo. Il momento più eccezzionale è stato quando dovevo andare da Amantea a Napoli: arrivo in stazione e vedo che, stranamente, c'è un sacco di gente. Chiedo come mai e mi dicono che stanno aspettando il regionale per Cosenza che ha un ora e mezza di ritardo e quello che doveva passare un'ora dopo non era proprio arrivato. Alla fine io sono partito con un paio d'ore di ritardo e chi doveva andare a Cosenza se n'è andato a casa o ha preso la macchina perché i regionali non erano ancora arrivati.

Qualche tempo fa ho visto un' edificante inchiesta di La7 sugli sprechi del TAV. In studio c'erano il tribuno Di Pietro, Mauro Moretti, Pietro Lunardi (ex ministro delle infrastrutture e trasporti del secondo governo Berlusconi dal 2001 al 2006 e proprietario della Rocksoil, che fa gallerie, strade, ferrovie e ponti, do you know?).
C'era anche l'ing. Ivan Cicconi che cercava di portare avanti un discorso su costi e benefici (se ci saranno) del TAV in maniera seria e puntuale, ma Ilaria D'Amico (la conduttrice) non gli lasciava lo stesso spazio che lascia a Massimo Mauro quando commenta le partite su Sky. Durante la trasmissione si alternano le discussioni tra gli esperti (tra cui Cicconi, appunto) e chi invece si difende sulle vari questioni tipo  sicurezza e sprechi. Moretti dice le cose di cui sopra. Insiste con la manfrina che non si possono fare passare i treni in ogni paesino e che gli eurostar devono passare solo in cittadine di più di 60000 abitanti. Penso a questa affermazione, ci ripenso, ci ripenso di nuovo e poi ho l'illuminazione: in Calabria fermerebbero solo a Reggio Calabria e forse a Lamezia Terme, perchè c'è l'aereoporto. In Sicilia fermerebbero in qualche città in più, ma sfido chiunque a prendere un treno che va in Trinacria, onestamente io andrei a nuoto.  Tra l'altro le ultime notizie parlano della possibile chiusura degli scali merci di Cosenza e di Lamezia Terme.
Eppure per Moretti è tutto normale. Negli ultimi anni sono spariti i regionali e gli interregionali. Ovviamente i treni vengono soppressi senza preavviso. Il giorno prima fai il biglietto, il giorno dopo vai a prendere il treno che però non arriva più in quella stazione. A me è successo due volte, penso che ci sia ancora traccia tra i reclami fatti alle FS. Ah, utilissimi ed ascoltati i reclami! Con la mancanza di regionali è molto difficile raggiungere senza auto una stazione con 60000 abitanti attorno.
La perla della trasmissione, però, è dell'ex ministro Lunardi. A parte che durante tutta la serata nessuno contraddice né Lunardi né Moretti e chi ci prova è stoppato dalla simpatica D'Amico. A sua discolpa va detto che non è facile passare dai campi di calcio al giornalismo d'inchiesta. La domanda è: perché lo fai?
Comunque, dicevamo, la perla della serata è quella di Lunardi:
Vediamo un morbido servizio sul fatto che una legge appoggiata proprio dall'ex ministro (tra i padri della famigerata legge obiettivo,  quella dei general contractors) non obbliga a determinate norme di sicurezza nella costruzione delle galleria; ad esempio non è necessario fare una galleria per ogni senso di marcia(come in Spagna o Francia), oppure non è necessario che ci siano più uscite di sicurezza nelle gallerie.
L'ex ministro dice che non è possibile tenere conto di ogni standard di sicurezza, altrimenti non si farebbe nulla (ricordo che Lunardi è quello che disse  che bisognava convivere con la mafia, se no non si faceva nulla). Per esplicare la sua teoria, come esempio,  usa il deragliamento. Dice che è un fatto raro e mica si possono spendere tutti  quei soldi per una cosa del genere.
Quando ci mettiamo in treno  non dobbiamo avere questi cattivi pensieri, ma goderci il paessaggio.
L'ultima straordinaria novità in ordine di tempo è la chiusura di parte delle linee da Lamezia Terme verso Reggio Calabria e la Sicilia, per manutenzione straordinaria. Il ministro delle infrastrutture e dei trasporti, l'alleato nazionale (l') Altero Matteoli che fine ha fatto? N.P. Non pervenuto. Certo s'era sbracciato tanto per promuovere la follia del ponte sullo stretto, ed ora? Sappiamo che Urso ha deciso che non era il caso di mettersi in viaggio con il brutto tempo, ma lui? Matteoli poteva farsi accompagnare dal figlio Federico,  assunto come pilota nella nuova compagnia aerea italiana, CAI. I maligni dicono, grazie ad una graduatoria ad hoc che gli ha permesso di scavalcare altri piloti con maggiore anzianitá e diritti. Largo ai giovani. Altro non pervenuto sulla vicenda è il giovane ed amato sindaco di Reggio Calabria, Scopelliti, che ha, però, una scusante: è impegnatissimo ad imballare i Bronzi di Riace per il prossimo G8 e speriamo che Scajola non abbia il nucleare per quel periodo. Tra ponte, bronzi e treni, Scopelliti più che ricalcare le orme di Ciccio Franco sembra ricalcare quelle di Franco e Ciccio.

C'erano una volta le telestreet 02

Breve storia delle telestreet in Italia.

di Claudio Metallo

Il percorso del network telestreet, la rete delle televisioni di quartiere e di strada inizia da una volontà d’interrogarsi sulle nuove tecnologie e sul loro possibile impatto sulla vita sociale attraverso l’utilizzo di un media, o meglio di più media, in quanto le televisioni di strada e di quartiere altro non sono che un trans media cioè attraversano vari media: la rete, l’etere e anche la carta stampata con opuscoli, print, volantini o pamphlet.
A metà degli anni ottanta si sviluppa un non rifiuto delle tecnologie mediatiche proprie della televisione e di altri grandi media e si fa strada la volontà di riappropiarsi della comunicazione attraverso l’utilizzo delle modalità con cui il ‘nemico’ ha tenuto e tiene sotto scacco gran parte della popolazione occidentale. L’operare di questi nuovi gruppi a livello europeo fa da punto di partenza a quello che sarà lo slogan principale d’indymedia (www.indymedia.org) “Don’t hate the media, became the media”. Dunque cresce l’idea di sviluppare con gli stessi strumenti tecnologici un discorso d’informazione e comunicazione alternativo. Si tende a trasformare il fruitore in produttore o almeno ad assottigliare sempre più la linea di demarcazione tra chi fruisce e chi produce. Uno degli esperimenti più significativi riletti a distanza di qualche anno è quello di Rabotnik TV che fin dalla sua nascita insiste sul potenziamneto dei mezzi di comunicazione a tutti i livelli per ampliarne la possibilità di utilizzo ad un’utenza più ampia possibile. La portata di questi movimenti avanguardistici gravitanti nell’ambiente del cyberpunk e post-punk si è espansa a livello internazionale, anche grazie all’avvento di internet, vero motore di questa voglia di riportare media e tecnologia in una prospettiva comunitaria. Da allora si è cercato di ridare centralità all’individuo rispetto alla massificazione dei mezzi di comunicazione e di creare uno spazio d’integrazione nell’ambito di uno scambio d’informazioni e di una socializzazione dei saperi sempre più urgente vista la sempre maggiore concentrazione dei media non solo italiani nelle mani di poche persone che fanno capo o scudo a influenti lobbies economiche. In sostanza si è fatta strada l’idea che uno dei principi  portanti della democrazia, cioé “...se non mi occupo della politica, delle cose che mi circondano loro andranno nel verso giusto lo stesso perchè qualcuno se occupa per me”), è solo una pia illusione. Si è puntato molto e lo si fa anche adesso sulla qualità della comunicazione che consente la possibilità di risposta, la biunivocità, il multilateralismo, la possibilità di creazione di una buona comunicazione (cosa che nei grandi network esiste solo ad un livello fittizio, insignificante, statico e per di più umiliante per l’utente). L’esperienza più sbandierata in Italia è stata probabilmente quella della nascita delle radio private (1976), ricordiamo Radio Alice di Bologna, ma anche ad esempio Radio Aut, la radio creata da Giuseppe Impastato, figura riscoperta dal film-inchiesta di Marco Tullio Giordana I cento passi. Anche dai microfoni di quella radio, Impastato combattè il potere mafioso, a Cinisi incarnato da Tano Badalamenti, morto recentemente negli Stati Uniti, ovviamente di vecchiaia.
Nello stesso anno in cui nascono le radio libere nasce la prima televisione ‘pirata’ in Italia:‘TeleBiella’. Questa tv trasmetteva appunto nella provincia piemontese e verrà inglobata da ‘Odeontv’ dopo qualche anno. Negli anni ottanta ci sono molti esperimenti di tv di  strada, di cui però si sa veramente pochissimo. Per conoscenza diretta  posso dire che una telestreet esisteva all’inizio degli anni novanta (la prima trasmissione risale al 1991) in via del Pratello, animata più o meno con lo stesso spirito di una telestreet contemporanea e tirata su  con un quarto, forse meno, dei mezzi che molte telestreet hanno avuto a disposizione per partire con il loro progetto. Tutto il necessario era stato riciclato, riaggiustato e anche riadattato dai ragazzi che avevano dato vita a questa attività.
Le trasmissioni erano sporadiche e come ricorda uno dei partecipanti alle attività della telestreet erano “al limite del delirio collettivo”. Da questi primi sforzi di ritagliarsi una fetta di esistente, ma anche di divertirsi, guadagnarsi uno spazio di comunicazione concreto ed imparare un mestiere, si passa alla volontà di cambiare il modo di informare la gente ed a credere nella possibilità di modificare anche il modo in cui si è informati. Ci sono vari altri esperimenti/laboratori ed il 25 aprile del 2002 nasce, in Italia, Megachip un’associazione fondata , tra gli altri, da Giulietto Chiesa. La sua ‘sede’ non poteva che essere internet (motore di una rinascita dell’informazione libera, indipendente ed autogestita), infatti oltre alle pubblicazioni  su giornali e riviste, all’organizzazione e alla presenza a convegni, conferenze ed incontri, il lavoro svolto da questo gruppo di giornalisti, scrittori, intellettuali associatisi in megachip è consultabile in rete all’indirizzo www.megachip.info, sito costantemente aggiornato a cui da poco s'è affiancata Pandora TV (www.pandoratv.it). In buona sostanza lo scopo è creare una mobilitazione permanente sul tema della comunicazione, cruciale per il destino della democrazia, in Italia e nel mondo, ricordiamo ad esempio che la manipolazione delle informazione  è alla base dell’inizio del secondo conflitto iracheno.
Oggi battersi per un'informazione libera e pluralista è un impegno fondamentale. Libertà e pluralismo sono sottoposti a minacce continue, non ultima la legge sulle intercettazioni. Concentrazione delle proprietà dei mezzi di comunicazione, conflitti d'interesse, trasformazioni delle notizie in armi improprie e dell'intero sistema della comunicazione in braccio armato del potere politico ed economico, costituiscono altrettante minacce mortali all'autonomia e alla libertà di opinione.
Il progetto, ai suoi albori è stato diffuso a livello nazionale grazie alla fama di giornalista e tra i fondatori di megachip: Giulietto Chiesa. 
Una delle conferenze in giro per l’ Italia che questo gruppo di persone tenne ebbe luogo a Bologna, nel maggio del 2002, nel centro sociale eXMercato 24. Durante la serata i temi discussi furono molti. Tra gli altri si parlò di creare una rete di tv di quartiere di uso comunitario che potesse favorire il libero scambio d’informazioni attraverso la rete e l’ etere.  Era presente anche Franco Berardi Bifo ed altri componenti del gruppo storico che fondò ‘radio Alice’ nel 1976 e che si apprestavano a lanciare un nuovo progetto sotto il nome di ‘Orfeotv’ e Bifo  invitava a comprendere come, con l’abbattimento dei costi delle attrezzature che  servono a creare una tv via etere, per non parlare di quanto sia ancora meno dispendioso fare lo streaming via internet di un segnale video (lui  non né parlò) e quindi utilizzare il media contro se stesso per respingere l’attacco che si stava portando alla corretta informazione nel nostro paese dopo l’avvento del secondo governo  Berlusconi. Da questo grido d’allarme, lanciato in parecchie città italiane, nascono le tv di strada nostrane. Ognuno, poi, con il suo bagaglio di  esperienze e conoscenze ha deciso di scegliersi una strada da percorrere sempre con la consapevolezza di non essere un matto che crede di poter, con una fionda  far cadere un gigante che ha i piedi ben piantati a terra tra le abitudini della gente e ha la possibilità qualora queste abitudini cambiassero di  scatenare un apparato repressivo che può infierire duri colpi alle istanze di cambiamento provenienti da queste sotterranee e sovvertenti materie  intangibili che sono la rete e etere. In realtà il fenomeno  è stato ed è tutt’ora di così ampia portata che non ci si è mai sentiti soli perchè da subito dopo la nascita di Orfeotv, il numero delle telestreet è andato  sempre aumentando, tra il primo e il secondo incontro tra tv di strada e di quartiere (Eterea ed Eterea 2) il numero delle telestreet si è decuplicato. E’ anche vero che molte tv adesso non trasmettono più, ma continuano il loro lavoro di documentazione della realtà che vivono e diventano più che televisioni veri e propri gruppi di avanguardia del video digitale, in quanto prima generazione a trovarsi di fronte una simile possibilità di fare informazione, ma anche lavori di finzione attraverso nuove apparecchiature,  da questo punto di vista il digitale è un vero privilegio.  Ovviamente ognuna delle  telestreet ha trovato la sua ragione di essere (in un percorso individuale, ma comunque di gruppo) in una modalità di raccontare le cose o, come ‘Telefebbrica’, nel bisogno di dar voce a questioni  che dai tg nazionali sono stati escluse, ad esempio è scandaloso il trattatmento riservato alla manifestazione sindacale a Melfi, il  4 maggio 2004 relegata dal tg1 nell’edizione economica che segue quella generale delle 13:30, il che implica un calo di ascolti di parecchi punti percentuali. Tornando a ‘Telefabbrica’ si capisce quanto può dare fastidio una tv che da voce ad una protesta, in questo caso, la fabbrica in questione è la F.I.A.T. in terra siciliana, che qualche anno fa come oggi vive nella costante minaccia di un’azienda che continua a perdere pezzi e (come è costume della grande impresa, ma non solo) se la prende con chi è meno  protetto, nell’indifferenza totale del governo, dei partiti d’opposizione. Questa telestreet nasce con la volontà di dare voce agli operai dello stabilimento  e di documentare le fasi della protesta da vicino e criticamente, senza  quel detestabile filtro, che (anche se un pò retrò) definirei padronale applicato ai telegiornali fotocopia della tv italiana.  ‘Telefabbrica’ viene chiusa, riaperta, richiusa, riaperta, più di una volta. Le forze dell’ordine fanno irruzione nella sua “sede”  blaterando intimidazioni (“Se sparite, non vi denunciamo” tra le altre). ‘Telefabbrica’ resiste e continua a farlo.     Il raggio d'azione di questa tv è di 150 metri, l'equivalente di una persona che urla a gran voce dal balcone. ‘Telefabbrica’ trasmetteva senza concessione governativa. Ma è anche vero che rappresentava uno dei mezzi più efficaci che gli operai Fiat avevano a disposizione per difendere il proprio posto di lavoro e per poter discutere.
Altre tv come quella di Senigallia, ‘Discovolante’, nasce per dare spazio ai disabili, è  fondata da disabili e la maggior parte di chi ci lavorava è disabile, non deve suonare strano quel “lavorava” infatti anche quella tv è stata chiusa il  13 settembre 2003 da un ordinanza del ministero delle telecomunicazioni, comunque molti ragazzi continuano a lavorare al progetto pur non potendo,  per ora, trasmettere. Grazie ad un accordo con il quotidiano online senigalliese Vivere Senigallia sarà possibile scaricare dal web i nuovi servizi di Disco Volante mai andati in onda ed una selezione dei migliori filmati già trasmessi.
"Siamo particolarmente vicini a Disco Volante - ha dichiarato Michele Pinto, editore del portale - la libertà di informazione è un valore fondamentale che ci sentiamo in dovere di difendere. Offrire il lavoro di Disco Volante agli abitanti del quartiere Porto, a tutti i senigalliesi e a chiunque lo voglia, seppur in maniera parziale, è un passo importante in questa direzione".
Si tratta, comunque di una soluzione tampone perché la visione di Disco Volante sarà possibile solo per chi dispone di una connessione veloce, dall'ADSL in su, e perché non sarà possibile offrire tutti quei contributi che la telestreet riceve quotidianamente dagli abitanti del quartiere Porto e che rappresentano la sua vera ricchezza.
I servizi di Disco Volante, la cui qualità è testimoniata dalla recente vittoria del premio Ilaria Alpi, saranno nuovamente disponibili a tutti in alta qualità. Ovviamente, anche altre telestreet in tutto il paese potranno trasmetterli una volta scaricati dal web.
“Sui filmati non c'è copyright, sono distribuiti sotto creatve commons,-ha spiegato Enea Discepoli, responsabile di Disco Volante -la filosofia del mondo delle telestreet è quella della condivisione. Tutti possono usare i nostri servizi se ne citano la fonte e se non ne fanno un uso commerciale". Le ultime evoluzioni del caso ‘Disco Volante’ ci dicono che la tv di Senigallia ha ripreso a trasmettere vincendo la causa con il ministero delle telecomunicazioni (all'epoca dell'inizio del processo il titolare del ministero era Gasparri, della defunta A.N.).
Negli ultimi anni il panorama delle telestreet italiano s'è assottigliato c'è anche chi ha riciclato le modalità di fare street tv per propaganda elettorale come Nessuno TV (ora YouDEm) che trasmette sul satellite.
Comunque ancora adesso esistono varie tv di quartiere e di strada.  Una delle più attive e con una presenza importante sul territorio è Insu^TV (www.insutv.it)che è sempre pronta a seguire ogni iniziativa sociale e di movimento nella città di Napoli e dintorni, ad esempio in questo periodo i mediattivisti che ne fanno parte si sono spesi molto per la questione "monnezza" tra Serre, Pianura, Gianturco e Chiaiano.
Inoltre molte telestreet che non trasmettono più sono comunque vive ed hanno preso altre strade, ad esempio sono diventati gruppi video aperti a varie collaborazione e che si muovono autonomamente utilizzando "il marchio" come Teleimmagini(www.autistici.org/teleimmagini) che è nata a Bologna, ma ormai si muove tra l'America Latina (www.reporter.indivia.net) e l'Europa, producendo vari documentari e lavorando sulla socializzazione di attrezzature e culture proprio nello spirito delle prime televisioni di strada.
E’ chiaro che, in questi anni non s'è mai potuto tracciare una vera e propria politica comune tra le telestreet che non sia il perseguire un informazione nuova, orizzontale e liberata ed è altresì chiaro che, aldilà delle divergenze personali o collettive che possono sorgere è vitale far si che tra il maggior numero di questo tipo di tv o dei gruppi video che ne  sono scaturati ci sia contatto, scambio e condivisione di esperienze e progetti in modo tale si possa restare pungenti e vitali, non che sia il numero che fa la forza, ma la  socializzazione dei saperi si e più persone sono a collaborare e più concetti, idee e nuove vie ci sono da percorrere.
puoi scaricare l'articolo o commentarlo su www.autistici.org/teleimmagini

C'erano una volta le telestreet 01

Come funziona una televisione di strada.

di Claudio Metallo

Una televisione di strada è sostanzialmente un micro canale televisivo che trasmette un segnale a breve distanza sfruttando le frequenze lasciate libere dalle emittenti  più grosse. Una delle caratteristiche del  segnale televisivo infatti è la sua "portata ottica": un trasmettitore se è ostacolato da barriere (un monte, un palazzo molto alto) o dislivelli non è più ricevibile, per cui edifici elevati e particolari conformazioni del territorio generano numerosi coni d'ombra dove il segnale non arriva e proprio in questi coni d'ombra viene trasmesso il segnale di una televisione di strada. Gli apparecchi utilizzabili per creare la propria telestreet, realizzabile a costi ridotti, sono in pratica tre: il modulatore, che consente di definire la frequenza sulla quale si trasmette, l'amplificatore, che amplifica il segnale e determina il raggio di trasmissione, e l'alimentatore. A tutto l'apparato va collegata l'antenna che permette di diffondere il segnale così generato. La  spesa  contenuta,   circa  mille  euro,   e  le  competenze,   non necessariamente a livelli professionali, richieste per la costruzione di questo apparato, rendono possibile ad un vasto numero di persone operare come soggetti attivi nell'ambito della comunicazione audiovisiva. Vista l’impossibilità di accedere al mainstream televisivo, il crearne uno alternativo diventa l'unica soluzione, un concetto diffusosi già agli inizi degli anni '70 attraverso le parole di Michael Shamberg, ex giornalista di Life e Newsweek e creatore della prima tv antagonista via cavo americana, che nel libro Guerrilla Television  sosteneva che "non emergerà nessuna visione culturale alternativa se questa non avrà proprie infrastrutture alternative". Ecco che ritornano le parole di Eric Boucher (anche conosciuto come Jello Biafra ): "Non odiare il media, essilo!". La comunicazione del network avviene attraverso canali differenti, in primo luogo il sito, che ha la doppia funzione di presentare la realtà delle televisioni di strada e coordinare l'organizzazione del circuito proponendosi come punto centrale dal quale è possibile accedere agli altri canali di coordinamento. La comunicazione è rivolta dal network all'esterno. Il manifesto, le FAQ (Frequent Asked Questions), documenti e i link sono tutte sezioni che si occupano della definizione del progetto e della sua presentazione fornendo tutte le informazioni, sia tecniche che legali, per realizzare una televisione di strada. Un vero e proprio portale dentro al quale ogni telestreet può ritagliarsi uno spazio proprio di visibilità inserendosi in un database dove l'utente, grazie ad una maschera di ricerca, può ottenere tutte le informazioni su ogni telestreet italiana: zona e frequenza di trasmissione, sito internet, e-mail e anche il numero di telefono. La televisione di strada è un agente comunicativo che   interseca due livelli diversi di comunicazione: una comunicazione locale basata sul piccolo raggio di trasmissione via etere; una dimensione globale basata sulla rete e sulla diffusione del materiale via internet che permette un bacino d'utenza virtualmente mondiale. In base alla teoria delle reti sociali è pertanto un vettore che collega reti sociali primarie di un dato territorio, cioè reti di soggetti appartenenti alla stessa famiglia o allo stesso circolo amicale, con reti sociali primarie presenti in altri territori consentendo un maggiore afflusso di informazioni alla comunità, e l'inserimento in un quadro più ampio di valutazione le tematiche trattate. Questi due elementi portano ad un innalzamento del dibattito politico in termini  di  qualità, in quanto gli  argomenti  sono trattati  con maggiore coscienza, e produttività, in quanto è dimostrato da esperienze di e-democracy passate che gruppi di individui, chiamati ad esprimersi in merito a un dato argomento, realizzano percentuali elevate di consenso se i membri del gruppo sono stati  adeguatamente informati  in merito alla materia oggetto di dibattito.

Il partigiano nero

di Claudio Metallo


 Giorgio Marincola è nato  a Mahaddei Uen, in Somalia, il 23 settembre del 1923.
Suo padre è un militare italiano, sua madre una donna somala. Marincola passa la sua infanzia a Pizzo Calabro, con un zio, Carmelo. Poi si trasferisce a Roma per studiare. Siamo in pieno ventennio fascista. E' l' epoca delle teorie ddell' antropologo razzista Lidio Cipriani scrive: "È nostra salda opinione che l'incrocio con africani sia un attentato contro la civiltà europea perchè la espone a decadenza: dato che essa è un prodotto possibile solo nell'ambito delle razze europee.[...] Con la situazione antropologica determinatasi lentamente in Africa, non stupirà se il miscuglio vi fu sempre deleterio, come evidentemente lo è per i popoli civili che assorbono sangue africano. ". Questa frase la potremmo, tranquillamente, sentire in bocca ad un  leghista o a molti esponenti e tesserati del PDL. E' vero anche che molti leghisti e molti pdellini non sanno neanche che vuol dire 'deleterio', ma questo è un altro discorso. Giorgio Marincola fu ucciso il 4 maggio del 1945, proprio dai padri politici della destra italiana, cioè i nazifascisti. Egli era frutto dell'amore di una donna nera ed un uomo bianco, cosa che tutt' ora agli di questo paese imbarbarito risulta scandaloso  ed era anche un partigiano che combatté il fascismo.
Fu, forse l'unico, partigiano nero. Invito alla lettura del libro "Razza partigiana. Storia di Giorgio Marincola (1923-1945)" di Carlo Costa e Lorenzo Teodonio, pubblicato dall'editore Iacobelli nel maggio 2008, in cui si racconta la storia e la vita del partigiano.  Provate ad immaginarlo ora: avrebbe avuto innumerovoli problemi ad ambientarsi in questo paese, magari durante l'infanzia, passata in Calabria, avrebbe sentito del pogrom di Rosarno.
Si sarebbe sentito accettato più che nel periodo in cui Cipriani scriveva quelle idiozie? In una città come Roma, dove ci sono le deportazioni dei Rom, portate a termine in un assordante silenzio, come si sarebbe sentito? Con quali partigiani si sarebbe schierato? Cosa avrebbe fatto? Di sicuro si sarebbe vergognato dei razzisti che sono oggi al governo e dei partiti, eredi del nazifascismo al governo, che adesso si chiamano PDL e Lega Nord.

Articolo sulla cartiera di Rosarno scritto nel 2008 per Cultura Calabrese

La cartiera di Rosarno

di Claudio Metallo


In Italia, dal 1992 esiste una legge che eroga finanziamenti a fondo perduto per attività produttive da insediare nelle zone economicamente depresse del paese. Questa legge si chiama 488 ed ha sostituito la vecchia ed ormai impresentabile Cassa del Mezzogiorno. Si stima che dall'entrata in vigore della sopra citata legge i solerti e coraggiosi imprenditori italiani (gente che non muove un dito senza un finanziamento pubblico, ma che farnetica continuamente di libero mercato) hanno truffato allo Stato circa 80 miliardi di euro.
La storia della cartiera di Rosarno parte proprio da uno di questi finanziamenti pubblici: 9 milioni di euro vengono generosamente regalati ad un imprenditore bresciano di nome Cadenotti che memore di un noto film di Woody Allen prende i soldi e scappa.
A testimoniare il passaggio di questo benefattore proveniente dal nord produttivo, nel comune della piana rimane una struttura (la cartiera) che viene utilizzata come casa dai migranti che arrivano nella zona durante il periodo della raccolta delle arance.
Queste persone dormono in condizione igieniche pessime, abbandonati a loro stessi ed alla violenza razzista di una parte della popolazione locale. Non sono pochi i casi di lavoratori pestati e derubati mentre tornavano verso la cartiera. A Rosarno la caccia all'immigrato è diventata un'attività ricreativa ed è molto difficile contrapporsi a queste pratiche fasciste per le persone che vogliono avvicinare i braccianti ed aiutarli a vivere in maniera meno drammatica il loro lavoro. A questo va aggiunte che le cosche la fanno da padrone e non gradiscono che le braccia che hanno ordinato si mettano pure a stringere rapporti con la gente del luogo. Devono rimanere nell'indigenza in cui sono arrivati, non devono avere la certezza se quel giorno mangieranno o meno.
I migranti arrivano da vari paesi: ci sono senegalesi, ivoriani, rumeni o liberiani.
All'alba vengono reclutati sulle strade. Nessuno di loro quando si sveglia sa se quel giorno lavorerà o meno, chi viene scartato torna alla cartiera o cerca di  trovare un modo per svoltare la giornata.
I prescelti salgono su pick-up o furgoni e vengono scaricati sul posto di lavoro. Ovviamente "il passaggio" lo pagano, pare costi cinque euro, circa un quinto della loro paga giornaliera.
Lavorano tra le dodici e le quattordici ore al giorno.
Rosarno è il laboratorio della Bossi-Fini: arrivi in paese, lavori e riparti per andare a lavorare in un'altra zona dove c'è bisogno delle tue braccia e della tua schiena.
In mezzo c'è qualche retata fatta ad hoc dalle forze dell'ordine, i maltrattamenti, le minacce e certe volte anche un morto, come è successo ad un giovane rumeno rapinato ed ucciso.
Nel novembre 2007 Medici senza frontiere ha realizzato un'indagine nella zona tra Rosarno, San Ferdinando e contrada Marotta evidenziando come la situazione in quei luoghi, per i migranti non sia dissimile da quella di una crisi umanitaria.
Pensando a questa storia non si può non riflettere sul fatto che la Calabria (terra di emigrati) è la prima meta toccata da molte persone che sbarcano in Italia. Il primo impatto  con il belpaese è 'ndrangheta, sfruttamento e razzismo.
A settembre esce Un destino sgarbato - storia degli schiavi di Rosarno un libro importante di Antonello Mangano che racconta le storie di queste persone che arrivano in un luogo che ha dimenticato di non essere "nord produttivo", ma anch'esso sud del mondo.