martedì 17 dicembre 2013

JAF:15 anni suonati download free su Archive

scarica il documentario sullo Joggi Avant Folk: Joggi Avant Folk: 15 anni suonati

"Lo Joggi Avant Folk è un festival musicale, culturale ed artistico che
si svolge a Joggi, un paese di 150 abitanti in provincia di Cosenza.
Il documentario Joggi Avant Folk: 15 anni suonati, racconta proprio i 15
anni di storia di questo evento autofinanziato, autogestito ed
autorganizzato. Nel film vengono evidenziati i concerti più belli
svoltisi a Joggi attraverso il materiale di repertorio girato da
Ermanno Longo, mentre l'edizione del 2012 è girato da Claudio Metallo"

domenica 3 novembre 2013

Due recensione del mio racconto 'Il sindaco'

La prima di Francesco Frangella su Il Marsili Notizie: Fenomenologia di "un pezzo di merda"

La seconda di Giulio Vita su La mia Mantia: 'Il sindaco' di Claudio Metallo


Il libro sarà disponibile a breve su IBS e Amazon. Potete ordinalrlo in libreria o acquistarlo dal sito della casa editrice Pietre Vive:Il sindaco

Buona lettura!

giovedì 10 ottobre 2013

"Il sindaco" acquistabile sul sito di Pietre Vive

 

PIETRE VIVE: IL SINDACO 

"Il sindaco, vincitore del premio Luce a Sud Est, è il ritratto sardonico di un uomo che si trascina negli anni, di elezione in elezione, per riconfermare una posizione necessaria più a definire una sua identità che a fare il bene della cittadinanza. 

Claudio Metallo ci fa rivivere l’inutilità di un’esistenza tutta votata a un’idea scorretta di politica, povera nei contenuti come nei risultati perché povera è l’esistenza di chi la fa: un uomo solo, che ha scelto la via del potere per spiccare il volo, senza mai realmente sollevarsi da terra."

A breve il racconto sarà disponibile su Amazon e Ibs


Pietre Vive

sabato 28 settembre 2013

4-5 ottobre presentazione del mio racconto Il Sindaco, vincitore del premio Luce a Sud-Est


"IL SINDACO è l’opera prima del documentarista calabrese Claudio Metallo, vincitore del premio di scrittura Luce a Sud Est 2013, presieduto dal giornalista e scrittore Raffaele Nigro.
Il concorso, realizzato con G.Lan Laboratori Urbani, nell’ambito delle azioni di sostegno per attività, servizi ed eventi realizzati direttamente da giovani e dal tessuto associativo (come previsto dal progetto “g.lan: glocal art network, upgrade for community”, finanziato dalla Regione Puglia, assessorato alle Politiche Giovanili e alla Cittadinanza Sociale), è teso a favorire un principio di scrittura etica, sia sotto il profilo dei contenuti, sia come promozione di buone prassi editoriali – senza richiesta di contributi agli autori.
Il volume, ritratto sardonico di un sindaco corrotto, viene presentato per la prima volta venerdì 4 ottobre, presso il Laboratorio Urbano di Locorotondo. Nell’ambito della stessa serata verrà proiettato il film ‘un pagamu , opera dello stesso Metallo.
Sponsor della serata la cantina 750ml.
La presentazione verrà replicata sabato 5 ottobre presso il Laboratorio Urbano di Noci, in concomitanza con la presentazione del nuovo EP de Liorsi, Eppi."

pietre vive editore

B.D.D.-il romanzo degli anni zero. Intervista con Claudio Dionesalvi

B.D.D. romanzo  degli anni zero (Coessenza 2013, 12 euro) è il nuovo libro di Claudio Dionesalvi, ultra del Cosenza ed attivista politico della città bruzia. Claudio collabora con varie testate giornalistiche, tra cui Il manifesto, ed è stato direttore del periodico della curva Tam Tam e Segnali di fumo, che affrontava anche inchieste sulle questioni scottanti riguardanti la vita cosentina.
B.D.D. è l'acronimo di un gruppo presente nella curva dello stadio San Vito: Brigata Drogati Delinquenti. A dispetto del titolo, il romanzo non racconta le curve italiane, la nostalgie degli scontri con le forze dell'ordine e con altre tifoserie, la magia degli stadi pieni e i viaggi spesso estenuanti per seguire la propria squadra. Ricordi - questi - microstorie, che sì affiorano nel libro, ma che fanno solo da sfondo alla vicenda principale. E' stato commesso un grave delitto; non è stata uccisa una persona, è stata colpita una generazione.
Dunque non si raccontano storie di ultras, ma sono gli ultras ed ex ultras che raccontano Cosenza. E si tratta di narratori davvero acuti perché - come scrive nella puntuale postfazione Wu Ming 5 - “la curva cosentina ed il suo rapporto con la città rappresentano un'esperienza importantissima nella storia della politica di strada, dell'aggregazione dal basso di questo paese."
Prima che un tentativo di tirare le fila delle esperienze curvaiole, il romanzo costituisce il ritratto della Cosenza masticata e poi sputata dalla speculazione edilizia, violentata nel suo spirito da gruppi di affaristi in grembiule e cappuccio, ma animata da giovani vivaci ed attivi non solo sugli spalti.
Claudio Dionesalvi attraverso la sua penna ci restituisce un po' di questa energia. In fin dei conti, B.D.D. è un romanzo di sincera e schietta ribellione, e perciò politico, che rielabora, attraverso un vissuto autobiografico, il sentire comune di un'intera  generazione non solo cosentina. E, chiuso il libro, resta il rammarico che forse le generazioni future non potranno godere dello stesso humus in cui sono cresciuti il protagonista ed i suoi amici.

Abbiamo rivolto all'autore qualche domanda:

- B.D.D. è romanzo in cui hai messo molto di te stesso. Potrebbe essere quasi un' autobiografia tua o della Cosenza ribelle. Cosa ti ha spinto a metterti così a nudo?

Troppe volte mi sono sentito espropriato del corpo, del sapere e della parola. Così ho deciso di riprendermi storie che appartenevano a me e ai mondi in cui sono cresciuto. Ci sono tante possibili forme di autobiografia. Ho cercato di tenermi alla larga da quella “paradigmatica”, spesso trionfalistica. Quella che dice: “guardate come sono bravo e bello. Provate ad imitarmi”. Hai colto bene il messaggio: in B.D.D. provo a narrare eventi che non solo soltanto miei, bensì condivisi. Quindi, m’è sembrato doveroso mettermi a nudo per primo. Il mio è un atto d’amore verso “questi anni”. Non a caso, le muse ispiratrici sono state mia figlia Maya e la compagna della mia vita, Loredana.

- Il racconto di una stagione di rivolta per uno scrittore può essere il modo di fare il punto su una parte della sua vita oppure sulla stagione stessa. Ti rivedi in questi due punti oppure c'è una terza o una quarta via?

Mi ritrovo in entrambe le prospettive. Ma soprattutto sulla possibilità di guardare oltre la dimensione locale e identitaria. B.D.D. è un tentativo di raccontare al mondo le nostre storie, e al tempo stesso raccontare il mondo attraverso le nostre storie. La cosentinità, stavolta, è un pretesto. Guardo con grande ammirazione ai testi in dialetto del musicista Enrico Granafei, al film “Fiabeschi torna a casa” di Max Mazzotta, al Beckett in vernacolo messo in scena dalla compagnia teatrale Krypton, alla narrativa lirica del poeta Daniel Cundari. Tutti esempi concreti di come si possa riuscire a universalizzare la cultura di un luogo, mantenendo fermi i linguaggi e gli scenari locali. E poi, sì, mi sono lasciato travolgere dalla voglia di rappresentare il presente o, se preferisci, il passato prossimo. Che troppo a lungo lasciamo custodito in cantina, nell’attesa che arrivi a stagionatura. A volte, però, purtroppo marcisce. Allora meglio tirarlo fuori subito e provare a raccontarlo.

- Perché, secondo te, era importante raccontare la curva del Cosenza? Cosa ha significato per la città quell'esperienza di aggregazione, e su quali campi agivate?

Nella scelta della curva come collante, elemento trainante della fabula, ho provato non pochi tormenti. Noi ultrà siamo sempre stati molto gelosi delle nostre storie. Quindi mi sono chiesto se fosse giusto scriverle. In realtà, s’è trattato di ri-scriverle, perché i flashback presenti in B.D.D. sono ripresi da episodi che avevo pubblicato sul quindicinale Tam Tam e Segnali di Fumo, che era il nostro organo ufficiale. Alla fine sono rimasto contento perché il romanzo è stato molto apprezzato proprio da curvaioli della generazione attuale, e di quelle passate. Ho cercato solo di stare molto alla larga dalla letteratura ultras che negli ultimi anni è diventata trombona e autocelebrativa. Per quelli come me, la curva dello stadio San Vito ha comportato tutto: l’incontro con l’amore, l’odio, l’amicizia, il sociale. Come avrei potuto tenerla fuori?

- Nel romanzo ci sono tanti personaggi di fantasia (quasi tutti gli amici di Lucio Spina) riconducibili a persone reali. Penso che fosse inevitabile, ma come ti sei regolato per costruire i tuoi protagonisti?

Mi sono divertito a smontarli e rimontarli. È una specie di “realtà aumentata”. Sarà retorico affermarlo, ma è indubitabile che la realtà dei miei amici, gli affetti di cui mi circondo nella giornata quotidiana, è infinitamente più bella, viva, tenera e calorosa di qualsiasi riproduzione letteraria. Quando si è innamorati del proprio mondo (con tutta la carica di naturale e passeggero odio che questo sentimento può comportare), non è difficile coglierne frammenti e trasmetterli attraverso la scrittura. Prima di trasporre su carta le storie di ognuno, ho chiesto a ogni singola persona consenso e condivisione, senza i quali non avrei mai proceduto con la stesura. E ci siamo divertiti molto. Il contributo più importante, comunque, è arrivato dai miei fraterni soci e socie della Coessenza, che nel cammino dell’editing hanno avuto la pazienza di sollevare critiche e osservazioni. Le ho accolte e recepite tutte.   

- Nel romanzo parli spesso di due Cosenza, due città separate. Ci puoi raccontare brevemente come vedi queste due città?

Ogni giorno dobbiamo fare i conti con una città sovrastrutturale che decide, gestisce i fondi pubblici, schiavizza e precarizza migliaia di famiglie. È la “nuova” borghesia cosentina. Negli anni ottanta ce n’era una ancora capace di investire e rischiare capitali per trarne profitto. Poi magari faceva cose ugualmente terribili, come pilotare la guerra di mafia o insabbiare processi importanti. Però in un modo o nell’altro produceva ricchezza per sé, e qualche mollichella la distribuiva pure.
La borghesia odierna, invece, è capace solo di predare, è parassitaria e arrogante. Il suo connubio con pezzi di malavita e massoneria, con i partiti o ciò che resta di loro, nonché con settori nevralgici della Chiesa cosentina, produce una città perfida, parallela e pervasiva. Le lotte sociali e la libera espressione ribelle, sono le uniche armi che abbiamo per darle fastidio. A Cosenza ci siamo riusciti spesso!


di Claudio Metallo

giovedì 8 agosto 2013

domenica 16 giugno 2013

'Un pagamu al RiaceInFestival

'Un pagamu sarà proiettato al RiaceInFestival il 30 giugno alle ore 18.
 In questa occasione mi consegneranno il premio "Gianluca Congiusta"

Riace Festival

Ringrazio l'associazione ed il festival

lunedì 13 maggio 2013

martedì 7 maggio 2013

Telecamorra, guerra tra clan per il controllo dell'etere. Intervista ad Alessandro De Pascale



di Claudio Metallo

Come recita la quarta copertina, Telecamorra, guerra tra clan per il controllo dell'etere (Lantana Editore, pp.244, €16,50)"è una storia di soldi, clan e potere".
Ma Telecamorra è anche e soprattutto un'inchiesta giornalistica condotta sul campo e durata quattro anni. Alessandro De Pascale è il coraggioso giornalista che si è speso per seguire la cricca delle telecomunicazioni campana, tra neomelodici, maghi più o meno cialtroni, lotterie improvvisate, ricatti ed estorsioni camuffate da raccolta pubblicitaria.
De Pascale, collaboratore del quotidiano ecologista Terra, del settimane Left-Avvenimenti e del mensile La Voce delle Voci, ci ha concesso un'interessante e lunga intervista.



Claudio Metallo: Come ti è venuta l'idea di scrivere questo libro e che idea ti sei fatto dell'etere campano? Ci puoi fare un rapido quadro della situazione?

Alessandro De Pascale: Sono sempre stato un grande appassionato di televisione. Come spesso accade in questi casi, nasce tutto da una segnalazione. Erano gli inizi del 2008 e il ministero aveva da poco fissato il calendario per lo swich-off del digitale. In una manciata di mesi, la Campania sarebbe stata la seconda regione d’Italia (dopo la Sardegna) a passare al digitale terrestre (Dtt), spegnendo per sempre la vecchia tv analogica. Gli interessi in ballo stavano quindi cambiando radicalmente: laddove prima su una singola frequenza si poteva trasmettere un solo canale, col Dtt ce ne sarebbero entrati 6-7. Il loro valore si sarebbe moltiplicato di conseguenza, mentre la nuova tecnologia avrebbe dato spazio a chi già trasmetteva sull’analogico. Mi spiegarono così che i clan dell’etere erano ritornati all’attacco, con nuove occupazioni. Del resto, stava per arrivare una nuova sanatoria, preannunciata con largo anticipo, simile a quella che c’era stata nei primi anni Novanta con la legge Mammì che aveva legittimato la tv privata, “fotografando” l’esistente. In realtà, ritengo si siano verificate situazioni analoghe a quella dell'etere campano anche in altre regioni. La differenza, semmai, è la presenza della camorra, che si inserisce in ogni settore economico possa essere usato per riciclare soldi sporchi, fatturarne di puliti, gestire posti di lavoro e garantirsi così consenso sociale. Ecco come hanno usato la radio e la tv, due mezzi di comunicazione fondamentali perché arrivano direttamente nelle nostre auto o case. Di conseguenza, ho pensato fosse importante spiegare chi si nasconde dietro molte emittenti infiltrate dalla criminalità organizzata. Così è nato questo libro.


CM: Come ha fatto la camorra a mettere le mani sulle frequenze?

ADP: Come spesso accade, grazie ai ritardi e alle inadempienze dello Stato. Partiamo dal presupposto che, come già detto, le radio e le tv private in Italia sono nate a colpi di occupazioni abusive dell'etere, poi sanate per legge, con provvedimenti del tutto simili a un condono. In Campania poi, il far west è stato favorito dalla mancata realizzazione del catasto delle frequenze. Assieme alla Calabria, le uniche regioni d'Italia, a non averlo realizzato. In sostanza, vuol dire che la proprietà di una determinata frequenza si basava esclusivamente su atti di compravendita tra privati. Si è così sviluppato un vero e proprio mercato di questi atti notarili falsi, realizzati grazie a professionisti compiacenti. Le indagini hanno, ad esempio, accertato in più di un caso che persino il timbro dell'Agenzia delle entrate sugli atti di registrazione veniva falsificato. Al numero riportato sopra, corrispondevano, in realtà, atti diversi che non c'entravano nulla con le frequenze. La presenza della criminalità organizzata, il crescente interesse per questo settore e la corruzioni di pubblici ufficiali preposti ai controlli, hanno fatto il resto. Piccole emittenti sono così arrivate a possedere un patrimonio di frequenze superiore addirittura a quello legalmente detenuto da Rai e Mediaset messe insieme. Da una stima approssimativa sono state sottratte allo Stato, e quindi alla collettività, frequenze analogiche per mezzo miliardo di euro. Il cui valore, con il passaggio al digitale, si è poi persino triplicato.

CM: Quale delle storie che hai raccontato nel libro ti ha fatto saltare sulla sedia dicendo:"Non è possibile..."?

ADP: Stavo scrivendo il libro, cercando di ricostruire da dove le emittenti in odor di camorra prendessero i fondi per realizzare le loro nuove sedi. Da piccoli e angusti appartamenti, in una manciata di anni, avevano infatti tirato su intere palazzine, con arene per concerti dal vivo e attrezzature moderne e costose. Poi, una mattina, si è verificato un episodio di cronaca che mi ha costretto a variare l'ordine dei capitoli del libro, per la sua dirompenza. La sera del 13 ottobre 2011, nella zona di Gianturco, ex area industriale della cinta partenopea i cui capannoni oggi sono diventati sede delle principali tv locali, viene arrestata una banda composta da 11 persone. Uscivano dalla sede di Campania Tv, coi mitra in mano, pronti a sferrare l'assalto al cavea della Bsk Service, un istituto che trasporta valori, ha sede proprio in quella zona e quella notte custodiva tra i 35 e i 40 milioni di euro. La tv era in pratica usata come base logistica per sferrare rapine e senza il preventivo intervento della polizia, che quasi sicuramente teneva già sotto controllo il gruppo oppure ha ricevuto una soffiata, il bottino trafugato sarebbe stato di tutto rispetto.
L'altro episodio che mi ha colpito risale al settembre 2009, quando i finanzieri si sono presentati nella nuova sede di Quarto Canale, a Giugliano (Na). Le Fiamme Gialle scoprono innanzitutto che la palazzina di tre piani con 600 metri quadri di spazi, circa 200 a livello, era stata costruita senza nemmeno uno straccio di licenza edilizia. Inoltre, all’interno dello stabile, erano state avviate tutta una serie di attività commerciali, come la sala giochi e il bar, anche queste abusive poiché sprovviste di licenza e dotate di 11 slot machine illegali. Anche Quarto Canale si era infine attrezzata con apparecchiature sofisticate e un'area adibita all'organizzazione di concerti di cantanti neomelodici, senza però aver mai ottenuto (o forse persino richiesto) le relative autorizzazioni sanitarie e di pubblica sicurezza, previste dalla normativa vigente quando in una struttura aperta al pubblico si ospitano tante persone. Scattano così le denunce per violazioni in materia di abusivismo edilizio, gioco d’azzardo e leggi di pubblica sicurezza.

CM: Nel libro parli dei casalesi, dei Sarno… Certe volte sembri divagare dal tema centrale, però di fatto ci racconti che controllare il territorio comporta anche controllare l'etere. E' solo questo il motivo per cui i gruppi criminali s'interessano delle tv locali? A me ha colpito molto che un editore, De Vita, abbia detto: "la camorra è l'ispettorato territoriale della Campania, cioè la sezione regionale del Ministero delle Comunicazioni".

ADP: Capisco che a volte le storie dei vari clan o la descrizione del contesto sociale possono non sembrare pertinenti col tema del libro. L'obiettivo, però, è quello di fornire anche al lettore nato e cresciuto in Trentino, piuttosto che in Valle d'Aosta, il maggior numero possibile di strumenti per comprendere la particolare realtà campana, nella quale sono avvenute le storie narrate. Ma soprattutto: chi sono, come sono nate, in quali business sono attive e quanto siano sanguinarie le cosche che controllano il proprio territorio e il relativo tessuto economico, mezzi di comunicazione compresi. Attraverso i quali possono ottenere numerosi vantaggi: ripulire capitali sporchi, giustificare il racket delle estorsioni obbligando i commercianti ad acquistare spazi pubblicitari, spartirsi i fondi pubblici destinati all'emittenza locale (soltanto in Campania, circa 12 milioni di euro l'anno), controllare il delicato settore dell'informazione, inviare messaggi in codice agli affiliati in carcere e gestire i posti di lavoro dell'indotto. Un fattore, quest'ultimo, che soprattutto in una città dove la disoccupazione è il triplo di quella nazionale, gli consente di ottenere un notevole consenso sociale. Un'infiltrazione di queste proporzioni e un'illegalità diffusa a tal punto nell'etere, non sarebbe stata possibile senza favoritismi di vario genere da parte delle autorità di controllo. De Vita, editore romano che quando decise di sbarcare in Campania con la sua tv ha dovuto affrontare un vero e proprio calvario, ha denunciato proprio questo: che per non avere problemi toccava pagare. Anche altri editori hanno raccontato di rolex che sarebbero stati regalati ai funzionari della sede campana del ministero, a cui spetta il compito di vigilare sul rispetto delle regole nell'etere. Tanto che due di loro, sono a processo per aver consentito la vendita di frequenze che erano addirittura in custodia giudiziaria. 


CM: Tra i neomelodici e le tv private campane c'è un rapporto strettissimo. Come mai? Ci puoi fare un esempio eclatante contenuto nel libro?

ADP: Il genere neomelodico, fenomeno esclusivamente napoletano i cui cantanti sono oggi arrivati alla terza generazione, è stato inventato dal capoclan Luigi Giuliano di Forcella. Questo boss, che gestiva una casa discografica (la Phonosud) ufficialmente di proprietà del cognato, sostiene di aver scoperto e lanciato Gigi D'Alessio, al quale avrebbe persino scritto le sue prime canzoni. Non per niente, Giuliano è un boss iscritto alla Siae e non è nemmeno l'unico. “Chill’ va pazz p’te”, ad esempio, è un famosissimo brano che porta la sua firma. Cantato da Ciro Rigione, meglio noto come Ciro Ricci, ufficialmente ha venduto 400mila copie vendute, oltre un milione calcolando il sommerso ed è diventato la colonna sonora del film di Antonio Capuano “Pianese Nunzio, 14 anni a maggio”. Numeri da disco d’oro. Oggi sono numerosi i boss iscritti alla Siae che scrivono canzoni, libri o poesie e addirittura sceneggiature cinematografiche e televisive, che elogino le loro gesta. I clan sono così diventati casa discografica o di produzione, agenzia di spettacolo, radio e tv; per fare quattrini, certo, ma soprattutto per fare scuola di camorra, educando le nuove generazioni al culto dei boss e ricordando le regole proprie delle mafie. Un fenomeno molto simile a quanto avviene in Messico, dove i cartelli della droga producono film (il cinenarco) e hanno propri cantanti a libro paga, i narcocorridos. Vietati per legge nelle radio e tv del Messico, questi spopolano su internet e riempiono le bancarelle. Proprio a causa dei messaggi apologetici, persino alcuni Stati Usa nel 2011 hanno deciso di vietarne i concerti. Anche in Campania, non tutto il neomelodico, ma una buona parte, è fatto di «cantanti di malavita», dai quali prende le distanze anche Nino D'Angelo, padre del genere. Per la camorra sono galline dalle uova d'oro. Cantano nelle feste sia pubbliche, quelle di paese finanziate dai Comuni, sia private (battesimi, compleanni, comunioni e matrimoni): 45 minuti di esibizione possono valere anche 10mila euro, quasi mai dichiarati nei redditi. Vengono ospitati a ciclo continuo su radio e tv, alcune delle quali fanno ormai neomelò 24 ore al giorno. Il business neomeolodico muove così un indotto impressionante, quasi interamente a nero, con i posti di lavoro gestiti direttamente dai clan. Dopo l’uscita del mio libro, con l’operazione “Canta Napoli”, la Guardia di Finanza ha contestato a due cantanti (Tommaso Riccio e Antonio Ottaiano) un’evasione fiscale da ben 8 milioni di euro.


CM: Quando si parla di tv in Italia, spunta il nome di Berlusconi. Come entra nella vicenda di Telecamorra?

ADP: Partiamo dal presupposto che la fortuna delle tv del Biscione, quando ancora non esistevano i format, è stata data anche da programmi inventati dalle piccole tv locali che i talent scout pagati da Cologno Monzese vedevano e riproducevano. C'è poi la questione dei furti ai ripetitori. La sentenza che ha portato alla condanna dell'ex senatore Pdl Marcello Dell'Utri per concorso esterno in associazione mafiosa, parla del pizzo che l'allora Fininvest avrebbe pagato a Cosa Nostra per evitare furti e attentati ai ripetitori del gruppo in Sicilia. In mezza Italia, tranne che in Campania e in Sicilia, le razzie ai danni delle torri di trasmissione Mediaset avvengono tuttora. Dietro questi furti, favoriti dal fatto che ogni postazione è dotata di apparecchiature di riserva identiche a quelle in uso che possono quindi essere portate via senza interrompere il segnale, ci sarebbe una banda campana che poi le rivende alle tv locali vicine alla camorra, che infatti trasmettono segnali di ottima qualità a basso prezzo. 

CM: Queste tv sono state in qualche modo all'avanguardia: Telemiracoli inventa la pubblicità a rullo e ritrasmette le partite di Tele+. In questo ultimo caso, l'impressione è che si è intervenuti solo perché si sottraevano introiti ai privati. Infatti, da quel momento in poi la tv continua a trasmettere senza partite di calcio. Cosa ne pensi?

Concordo in pieno: si è intervenuti soltanto quando indispensabile. Quando c'era ancora l'analogico, in Campania sono stati occupate decine di frequenze persino sulla banda S, riservata al ministero della Difesa e che, quindi, non potevano in alcun modo essere utilizzate dalle tv. Canali occupati e utilizzati per oltre un decennio, fino al passaggio al digitale terrestre. Qualche emittente ha addirittura affittato o rivenduto ad altri, il "diritto" all'occupazione abusiva. Di questa trentina di frequenze in banda S, soltanto un paio sono state spente dalla magistratura, in seguito alle proteste della Nato che lamentava interferenze. Alcuni editori hanno, infatti, denunciato che i segnali abusivi si spegnevano come per magia la mattina, quando in un dato giorno erano previsti i controlli della polizia postale, per poi riaccendersi la sera. Così facendo, al momento delle verifiche, gli inquirenti non trovavano nulla fuori posto. Altre volte, sempre per frequenze oggetto di controversie tra editori o adoperate abusivamente, veniva fatta soltanto la contestazione amministrativa e non quella penale. In questo modo, all'emittente che la utilizzava bastava presentare un semplice ricorso al Tar (Tribunale amministrativo regionale) con richiesta di sospensiva. In attesa della soluzione della controversia giuridica, quindi per anni dati i tempi della giustizia italiana, si poteva così continuare tranquillamente a trasmettere, guadagnando con pubblicità, televendite, maghi e neomelodici. Inutile aggiungere che quasi sicuramente c'era chi chiudeva non un occhio ma tutti e due. Anche se toccherà alla magistratura stabilire come sia stato possibile questa anarchia nell'etere e questo depauperamento del patrimonio dello Stato.

CM: Qual'è la situazione attuale dell'etere campano?

ADP: Oggi c’è una situazione di stallo: chi si doveva arricchire l’ha fatto, chi aveva bisogno di nuove frequenze le ha ottenute, a spese degli altri editori che quando si sono resi conto del danno che stavano subendo, nella maggior parte dei casi si sono messi d'accordo con i malfattori, anche se fortunatamente c'è anche chi, stufo di essere sopraffatto dal sistema, ha iniziato a denunciare. Il problema è che ormai è troppo tardi. Bisognava intervenire prima.



sabato 23 marzo 2013

Esasperiamo i toni.

Barack Obama va per la prima volta in Israele e propone la sua soluzione alla pulizia etnica contro i palestinesi: due popoli, due Stati. Riuscirà a convincere gli israeliani?
Negli stessi giorni, ricorre il 10° anniversario dell'invasione dell'Iraq e del conseguente inizio della guerra che non ha portato democrazia, ma morte, l'acuirsi dell'estremismo religioso e il saccheggio indiscriminato delle risorse del paese da parte della coalizione dei paesi occidentali.
In Turchia, dopo anni di guerra, il PKK (il partito dei lavoratori kurdi di Ocalan) ha trovato un accordo con il governo di Ankara per arrivare ad una pace.
In Sicilia si lotta contro il MUOS: un sistema radar che permette di manovrare i terribile droni da guerra statunitensi. E' una battaglia contro il ritorno della guerra fredda. I siciliani si ribellano nel solco delle  lotte contro i missili nucleari di cui sempre gli Stati Uniti volevano riempire l'isola.
Dall'altra parte del mondo il leader del primo paese produttore di petrolio del mondo, il Venezuela, muore per un tumore. A metà aprile dovrebbero svolgersi le elezioni tra il suo successore Nicolas Maduro e l'ex golpista della destra ultraliberista Capriles.

Mentre succede tutto questo, in un paese non precisato c'è un partito che organizza manifestazioni davanti al tribunale di Milano per chiedere l'impunità del suo plurindagato e quasi ottuagenario leader. Negli stessi istanti un altro partito, dello stesso paese, vorrebbe controllare le caramelle che i deputati comprano. I suoi militanti e parlamentari si lamentano che alcuni loro colleghi sono da troppi anni deputati o senatori e che prendono stipendi troppi alti.

Voglio esplicitare il mio pensiero con chiarezza: chissenefrega. Di fronte a quello che rapidamente ho elencato, a me di Rosy Bindi che sta in parlamento da trent'anni non mi frega niente.
Ci sono problemi più importanti da risolvere: cosa m'importa dei rimborsi elettorali, io voglio una legge sulla cittadinanza per le persone che nascono in Italia, voglio che venga risolta la crisi siriana, voglio l'abolizione della Fini-Giovanardi. A me serve un interlocutore credibile e non l'ennesimo arrogante nominato come Vito Crimi, che pare sappia solo dire "Beppe ha detto...", "Beppe ha chiesto...", "Beppe ha fatto...", ricordando la miglior  Mariastella Gelmini che ripeteva (e ripete) come un mantra: Il presidente Berlusconi ha detto...fatto...ecc.
Potrebbe mai aiutarmi la capogruppo alla camera dei grillini convinta che il fascismo abbai fatto anche cose buone, esattamente come ha esplicitato Berlusconi in campagna elettorale?
Il pianeta è in un momento di transizione epocale: l'egemonia economica degli Stati Uniti e dell'Occidente è quasi un ricordo, la crisi del capitalismo ci da la possibilità di ridiscutere, riformare, rivoluzionare, il rapporto tra capitale e lavoro.
In questo Paese si parla dello stipendio del presidente del Senato o della pensione di Giuliano Amato. Per carità, sugli sprechi ed i privilegi c'è molto da lavorare (come sta facendo Crocetta in Sicilia), ma forse stiamo perdendo di vista quello che accade nel mondo, la visione d'insieme e le vere questioni che sono sul piatto della realtà. Non ho mai capito bene perché l'Italia e gli italiani venivano tacciati di essere dei provinciali; adesso vedendo il nuovo che avanza, capisco perfettamente cosa si voleva intendere.


Claudio Metallo

domenica 24 febbraio 2013

Joggi Avant Folk: 15 anni suonati

Il trailer del mio nuovo documentario:Joggi Avant Folk: 15 anni suonati

Sinossi:


Lo Joggi Avant Folk è un festival musicale, culturale ed artistico che si svolge a Joggi, un paese di 150 abitanti in provincia di Cosenza.



Il documentario Joggi Avant Folk: 15 anni suonati, racconta proprio i 15 anni di storia di questo evento autofinanziato, autogestito ed autorganizzato.







Nel film vengono evidenziati i concerti più belli svoltisi a Joggi attraverso il materiale di repertorio girato da Ermanno Longo, mentre l'edizione del 2012 è girato da Claudio Metallo 



sabato 12 gennaio 2013

Brutti, sporchi e cattivi...ten years after


Dieci anni fa, prima dell’attuale esplosione delle web-series, dei giovani, rampanti e sconvolti videomaker/informatici/registi/sceneggiatori/attori diedero vita ad uno dei primi esperimenti di fiction autoprodotta del nuovo millennio: correva l’anno 2003. Eravamo in tre: Carlo Reposo, Lorenzo Cassulo ed io (Claudio Metallo).
La nostra serie (42 puntate che variavano dai 5 agli 8 minuti di durata) s’intitolava: Brutti, sporchi e cattivi -  storie di poco conto. Il titolo denotava la nostra voglia di  non prenderci troppo sul serio: a qualsiasi critica avremmo risposto con “Ma che ti frega: sono storie di poco conto”.
La storia, in brevissimo, era questa: Un gruppo variegato di persone occupa uno stabile disabitato, che il proprietario ha promesso di vendere ad una multinazionale agroalimentare. Tra gli occupanti ci sono un gruppo di comunisti dediti al karate, degli anarchici, due studenti del DAMS ed altri cani sciolti, ma i veri protagonisti della serie sono Adamo e la sua famiglia. I suoi due figli, avuti da una precedente relazione con la leader del partito conservatore Oltranza Cristiana, sono una giovane frikkettona fidanzata con un ambientalista un po’ confuso, e il figlio Frank (come l’immortale Zappa), la pecora nera della famiglia che vorrebbe entrare in polizia; la sua compagna è una corista reggae siciliana, il cui padre mafioso cerca di riportarla sulla retta via. In mezzo a questi personaggi principali si muovono vari altri figuri.
La trama era abbastanza semplice e parlava di noi e della nostra vita a Bologna. Già, Bologna…
Quando abbiamo iniziato a realizzare BSC, Bologna era ancora amministrata da Guazzaloca, il sindaco macellaio di centrodestra. Macellaio nel senso che era proprio uno che vendeva carne. Nel giro di poco tempo la città avrebbe subito la metamorfosi, autoritaria e modaiola assieme, del periodo di Cofferati. Un momento storico in cui tutto mutò radicalmente ed anche il tempo libero cominciò ad essere regolamentato rigidamente dalle famose delibere antidegrado. Un modello destinato a spargersi a macchia d’olio in quasi tutta Italia.
Ognuno di noi militava a modo suo contro quella mentalità chiusa insita in quella giunta comunale, che ha spesso assecondato gli istinti più bassi della gente come una qualsiasi giunta leghista da strapazzo. Noi  eravamo ancora all’università, studiavamo al DAMS (Carlo ed io) e a Scienze della comunicazione (Lorenzo). Avevamo incrociato nei libri che leggevamo per gli esami, ma anche in quelli che divoravamo per capire noi ed il mondo, Gilles Deleuze. Forse all’epoca lo reputavamo uno spocchioso francese che usava termini che non conoscevamo, ma se avessimo saputo allora la sua definizione di sinistra l’avremmo subito fatta nostra:  una persona di sinistra parte dall’orizzonte per osservare il mondo, man mano che arriva a posare lo sguardo su se stesso si accorge che è un mondo pieno di ingiustizie e si domanda: cosa posso fare? Una persona di destra parte da se stesso per guardare il mondo. Anche lui vede che ci sono persone che subiscono ingiustizie, ma teme che potrebbero portargli via quei privilegi (a volte immaginari) che egli possiede. L’uomo di destra tende a chiudersi ad avere paura di chi arriva al limite del confine che lui stesso ha creato. Si chiude e, magari  s’inventa ordinanze antidegrado.
Brutti, sporchi e cattivi - storie di poco conto, era uno dei tanti modi per rispondere a questa chiusura.  Era una risposta, forse anche inconsapevole, all’omologazione che ci veniva richiesta ed imposta.
Non avevamo un copione scritto, bensì un semplice canovaccio fatto di una serie di scene da girare, che poi  suddividevamo nelle puntate.
Una delle frasi che diventò uno degli slogan cult  (almeno per noi) della serie era: “La casa è un dovere averla”. Fu pronunciata da Adam, il nostro grande primo attore che interpretava Adamo, in una delle sue straripanti improvvisazioni. Quando la sentimmo ci sganasciammo dalle risate, perché la casa è un diritto, mica un dovere. Poi l’abbiamo fatta nostra perché in fin dei conti poteva significare che era un dovere lottare contro  quel sentimento di  paura, accompagnata a repressione, che montava a Bologna ed in Italia. Quella stessa paura che avrebbe alimentato i successi elettorali della destra fascista, xenofoba e razzista incarnata dai Berluscones ed i leghisti, che avrebbe portato a leggi vergognose come la Bossi-Fini contro i migranti e la Fini-Giovarnardi sulle droghe, una legge che ha riempito le carceri e fatto alzare alle stelle i profitti dei narcotrafficanti delle organizzazione criminali italiane.
 Il 90% delle battute (ed anche delle riprese) era totalmente improvvisato e quasi tutto: “buona la prima”. Questo modo di girare era dettato da tanti fattori, sicuramente dalla nostra voglia di divertirci e di trattare questioni importanti che affrontavamo ogni giorno con ironia, prendendoci in giro, facendo un po’ la parodia di noi stessi e di quello che facevamo. Non perché non ci credessimo, ma era una maniera per farci guardare meglio la nostra realtà. Un’altra delle ragioni era che bisognava fare in fretta. Tutti i partecipanti a BSC erano nostri amici o conoscenti che si prestavano al nostro obiettivo. C’era chi lavorava, chi studiava e chi aveva sicuramente di meglio da fare e quindi dovevano girare più velocemente che potevamo. Solitamente, facevamo tutto nei fine settimana, dalla mattina a sera e certe volte pure di notte.  Carlo, Lorenzo ed io c’eravamo dati dei ruoli che richiedevano una certa presenza su quello che molto, molto, molto forzatamente possiamo chiamare ‘set’. Riuscimmo a coinvolgere anche i centri sociali ed alcuni locali della città. C’era l’Ex Mercato 24, in cui si erano svolte le prime chiacchierate intorno alla  fiction e che è il luogo in cui abbiamo girato il maggior numero di scene,  dopo il laboratorio-casa di Carlo in via Timavo. C’erano il Link di via Fioravanti, il TPO di viale Lenin e la storica sede del Livello 57. Tutti e tre questi spazi sono passati a miglior vita, almeno come luoghi fisici. In particolare il Livello è stato sgomberato con una scusa fornita proprio dalla Fini-Giovanardi, cui accennavo prima.
Carlo si era prefissato di finire tutto entro un anno esatto dall’inizio delle riprese, io non ero molto convinto, ma alla fine la spuntò lui. E per fortuna, se no chissà quando avremmo finito di girare e con la mole di materiale che ci ritrovavamo chissà quando avremmo finito di montare! Per l’epoca non avevamo delle cattive macchine su cui montare, ma avevamo delle pessime telecamere ed i risultati si vedono chiaramente. Anche l’audio spesso lascia a desiderare, per essere buoni. Proprio l’audio è il primo errore che si fa quando si ha buona volontà, ma poca esperienza.
BSC è stata trasmessa da molte telestreet, tra cui Teleimmagini (la telestreet che diramava i suoi contenuti nell’etere dalla sede dell’Ex-Mercato 24), ed ha avuto una sua gratificazione istituzionale tramite  la partecipazione al Torino Film Festival, in uno spazio dedicato agli autori piemontesi: visto che Carlo era proprio di Torino ne abbiamo biecamente approfittato. Abbiamo anche cercato di trovare una qualche produzione disposta a finanziare un episodio pilota da proporre alle tv main stream, ma non siamo riusciti a farci ascoltare da nessuno. Con il senno del poi (che è la scienza esatta) possiamo dire che è stato meglio così: la nostra fiction è rimasta un prodotto underground, uscita in qualche centinaia di dvd autoprodotti.
Quasi mi dimenticavo…sul sito www.robavideo.net  potete trovare tutte le puntate di Brutti, sporchi e cattivi-storie di poco conto.