sabato 12 gennaio 2013

Brutti, sporchi e cattivi...ten years after


Dieci anni fa, prima dell’attuale esplosione delle web-series, dei giovani, rampanti e sconvolti videomaker/informatici/registi/sceneggiatori/attori diedero vita ad uno dei primi esperimenti di fiction autoprodotta del nuovo millennio: correva l’anno 2003. Eravamo in tre: Carlo Reposo, Lorenzo Cassulo ed io (Claudio Metallo).
La nostra serie (42 puntate che variavano dai 5 agli 8 minuti di durata) s’intitolava: Brutti, sporchi e cattivi -  storie di poco conto. Il titolo denotava la nostra voglia di  non prenderci troppo sul serio: a qualsiasi critica avremmo risposto con “Ma che ti frega: sono storie di poco conto”.
La storia, in brevissimo, era questa: Un gruppo variegato di persone occupa uno stabile disabitato, che il proprietario ha promesso di vendere ad una multinazionale agroalimentare. Tra gli occupanti ci sono un gruppo di comunisti dediti al karate, degli anarchici, due studenti del DAMS ed altri cani sciolti, ma i veri protagonisti della serie sono Adamo e la sua famiglia. I suoi due figli, avuti da una precedente relazione con la leader del partito conservatore Oltranza Cristiana, sono una giovane frikkettona fidanzata con un ambientalista un po’ confuso, e il figlio Frank (come l’immortale Zappa), la pecora nera della famiglia che vorrebbe entrare in polizia; la sua compagna è una corista reggae siciliana, il cui padre mafioso cerca di riportarla sulla retta via. In mezzo a questi personaggi principali si muovono vari altri figuri.
La trama era abbastanza semplice e parlava di noi e della nostra vita a Bologna. Già, Bologna…
Quando abbiamo iniziato a realizzare BSC, Bologna era ancora amministrata da Guazzaloca, il sindaco macellaio di centrodestra. Macellaio nel senso che era proprio uno che vendeva carne. Nel giro di poco tempo la città avrebbe subito la metamorfosi, autoritaria e modaiola assieme, del periodo di Cofferati. Un momento storico in cui tutto mutò radicalmente ed anche il tempo libero cominciò ad essere regolamentato rigidamente dalle famose delibere antidegrado. Un modello destinato a spargersi a macchia d’olio in quasi tutta Italia.
Ognuno di noi militava a modo suo contro quella mentalità chiusa insita in quella giunta comunale, che ha spesso assecondato gli istinti più bassi della gente come una qualsiasi giunta leghista da strapazzo. Noi  eravamo ancora all’università, studiavamo al DAMS (Carlo ed io) e a Scienze della comunicazione (Lorenzo). Avevamo incrociato nei libri che leggevamo per gli esami, ma anche in quelli che divoravamo per capire noi ed il mondo, Gilles Deleuze. Forse all’epoca lo reputavamo uno spocchioso francese che usava termini che non conoscevamo, ma se avessimo saputo allora la sua definizione di sinistra l’avremmo subito fatta nostra:  una persona di sinistra parte dall’orizzonte per osservare il mondo, man mano che arriva a posare lo sguardo su se stesso si accorge che è un mondo pieno di ingiustizie e si domanda: cosa posso fare? Una persona di destra parte da se stesso per guardare il mondo. Anche lui vede che ci sono persone che subiscono ingiustizie, ma teme che potrebbero portargli via quei privilegi (a volte immaginari) che egli possiede. L’uomo di destra tende a chiudersi ad avere paura di chi arriva al limite del confine che lui stesso ha creato. Si chiude e, magari  s’inventa ordinanze antidegrado.
Brutti, sporchi e cattivi - storie di poco conto, era uno dei tanti modi per rispondere a questa chiusura.  Era una risposta, forse anche inconsapevole, all’omologazione che ci veniva richiesta ed imposta.
Non avevamo un copione scritto, bensì un semplice canovaccio fatto di una serie di scene da girare, che poi  suddividevamo nelle puntate.
Una delle frasi che diventò uno degli slogan cult  (almeno per noi) della serie era: “La casa è un dovere averla”. Fu pronunciata da Adam, il nostro grande primo attore che interpretava Adamo, in una delle sue straripanti improvvisazioni. Quando la sentimmo ci sganasciammo dalle risate, perché la casa è un diritto, mica un dovere. Poi l’abbiamo fatta nostra perché in fin dei conti poteva significare che era un dovere lottare contro  quel sentimento di  paura, accompagnata a repressione, che montava a Bologna ed in Italia. Quella stessa paura che avrebbe alimentato i successi elettorali della destra fascista, xenofoba e razzista incarnata dai Berluscones ed i leghisti, che avrebbe portato a leggi vergognose come la Bossi-Fini contro i migranti e la Fini-Giovarnardi sulle droghe, una legge che ha riempito le carceri e fatto alzare alle stelle i profitti dei narcotrafficanti delle organizzazione criminali italiane.
 Il 90% delle battute (ed anche delle riprese) era totalmente improvvisato e quasi tutto: “buona la prima”. Questo modo di girare era dettato da tanti fattori, sicuramente dalla nostra voglia di divertirci e di trattare questioni importanti che affrontavamo ogni giorno con ironia, prendendoci in giro, facendo un po’ la parodia di noi stessi e di quello che facevamo. Non perché non ci credessimo, ma era una maniera per farci guardare meglio la nostra realtà. Un’altra delle ragioni era che bisognava fare in fretta. Tutti i partecipanti a BSC erano nostri amici o conoscenti che si prestavano al nostro obiettivo. C’era chi lavorava, chi studiava e chi aveva sicuramente di meglio da fare e quindi dovevano girare più velocemente che potevamo. Solitamente, facevamo tutto nei fine settimana, dalla mattina a sera e certe volte pure di notte.  Carlo, Lorenzo ed io c’eravamo dati dei ruoli che richiedevano una certa presenza su quello che molto, molto, molto forzatamente possiamo chiamare ‘set’. Riuscimmo a coinvolgere anche i centri sociali ed alcuni locali della città. C’era l’Ex Mercato 24, in cui si erano svolte le prime chiacchierate intorno alla  fiction e che è il luogo in cui abbiamo girato il maggior numero di scene,  dopo il laboratorio-casa di Carlo in via Timavo. C’erano il Link di via Fioravanti, il TPO di viale Lenin e la storica sede del Livello 57. Tutti e tre questi spazi sono passati a miglior vita, almeno come luoghi fisici. In particolare il Livello è stato sgomberato con una scusa fornita proprio dalla Fini-Giovanardi, cui accennavo prima.
Carlo si era prefissato di finire tutto entro un anno esatto dall’inizio delle riprese, io non ero molto convinto, ma alla fine la spuntò lui. E per fortuna, se no chissà quando avremmo finito di girare e con la mole di materiale che ci ritrovavamo chissà quando avremmo finito di montare! Per l’epoca non avevamo delle cattive macchine su cui montare, ma avevamo delle pessime telecamere ed i risultati si vedono chiaramente. Anche l’audio spesso lascia a desiderare, per essere buoni. Proprio l’audio è il primo errore che si fa quando si ha buona volontà, ma poca esperienza.
BSC è stata trasmessa da molte telestreet, tra cui Teleimmagini (la telestreet che diramava i suoi contenuti nell’etere dalla sede dell’Ex-Mercato 24), ed ha avuto una sua gratificazione istituzionale tramite  la partecipazione al Torino Film Festival, in uno spazio dedicato agli autori piemontesi: visto che Carlo era proprio di Torino ne abbiamo biecamente approfittato. Abbiamo anche cercato di trovare una qualche produzione disposta a finanziare un episodio pilota da proporre alle tv main stream, ma non siamo riusciti a farci ascoltare da nessuno. Con il senno del poi (che è la scienza esatta) possiamo dire che è stato meglio così: la nostra fiction è rimasta un prodotto underground, uscita in qualche centinaia di dvd autoprodotti.
Quasi mi dimenticavo…sul sito www.robavideo.net  potete trovare tutte le puntate di Brutti, sporchi e cattivi-storie di poco conto.